Trovo dimora, finito il mio volo,
nell’intrico dei rami, quel riposo
cercato, quel nascondermi per ghermire
la nudità della luce senza offendere
il pudore della notte.
Dal riparo scruto, sentinella accorta,
ogni guizzo frusciare o schiocco improvviso
nell’attesa del mattino, quando la veglia
paga il sonno ai primi baleni
rifratti dalle fronde.
Mani al cielo, quelle cime, implorazione
vacillante nell‘inclemenza:
aggrappato all’impermanenza della geometria
attendo avido i frutti del tempo propizio
per abitare impavido l’occasione.
Galliate, 15 giugno 2011