sabato 13 giugno 2020

Pesi e misure (meditazione)



"Stenderò su Gerusalemme la cordicella di Samaria e il piombino della casa di Acab; asciugherò Gerusalemme come si asciuga un piatto, che si asciuga e si rovescia." 
(2Re 21, 13)


Il Signore mi misura, non me ne rendo conto. Nel profondo del cuore so che lo fa per il mio bene, perché mi ama nonostante il mio essere indegno della vocazione che ho ricevuto, dei doni che mi ha posto dinanzi, delle fortune che non riesco a vedere. Lui insiste, perché è Dio, perché ha insistito fino a salire sulla Croce.

Gli strumenti sono precisi, così come i numeri che rivelano. Il Signore li annota, lo so, anche se non si sofferma sulle cifre come un rubricista qualsiasi: il suo abaco non lo conosco, i suoi algoritmi sono scienza sconosciuta. Per la logica umana, quella del conto che deve sempre tornare, quella degli interessi che devono essere pagati, la Sua gestione risulta fallimentare. Ma non sta a me giudicare, anche se la tentazione di farlo è forte. Senza un minimo di attenzione su questa mia caratteristica, sarei pronto a giudicare lo stesso operato di Dio. Sono spesso nella condizione che vive il profeta Giona a Ninive. Fare il moralista è una parte che si addice molto alla mia supponenza. Gli errori degli altri li soppeso con acribia da orafo. Per il prossimo la mia bilancia è tarata alla perfezione, così mi dimentico della cordicella di Samaria e del piombino della casa di Acab dall’indagine dai quali non mi posso sottrarre.

Mi prende come un piatto, ma non mi considera tale. Per Lui non sono un semplice oggetto. Mi afferra, mi asciuga dai peccati con i quali mi riempio fino a farli traboccare dall’orlo. Poi mi rovescia affinché tutto il male coli scivolando via dai bordi. Solo quando sarò asciutto mi appoggerà girandomi nuovamente e allora mi troverò nella condizione di accogliere l’acqua viva che zampilla per la Vita. 



martedì 9 giugno 2020

La grande opera (meditazione)

'Non peccare è veramente una grande opera. Se hai peccato, non dispetarti, ma piangi sui tuoi peccati affinché ottenga tu di nuovo la benedizione celeste'
Sulla preghiera, di Efrem il Siro


Perché oggi ci si trova inibiti quando si parla di peccato? Questa difficoltà diffusa non può essere dovuta alle abitudini distorte che caratterizzano l'habitus credendi di troppi fedeli? 
Efrem il Siro, attraverso le poche parole citate, esorta a pregare per sentirsi accolti nel grembo infinito della Misericordia. Per arrivare a questo invito, parte da una ferma constatazione, un'osservazione oggettiva perché vissuta in prima persona lungo il suo cammino ascetico: non peccare richiede uno sforzo enorme. Non è casuale la definizione di questo sforzo con le parole una grande opera. L'essere perfetti non indica l'immacolatezza, che Maria ottenne per grazia fin dalla nascita, ma procedere sempre più cosciente di quello che è la mia natura umana, la mia origine. 
Aristotele insegna che per dominare la natura occorre prima conoscerla. Secondo una prospettiva filosofica un'affermazione come questa risponde ad una logica ben definita. Ma nell'ottica cristiana? È cristiana l'idea di dominare? Conoscere si, e nell'universo biblico questo verbo assume sfaccettature profonde che si inabissano fino nell'intimo dell'amore tra uomo e donna riconoscendo alla sessualità una dimensione di mistero inaccessibile alla ragione, ma non al cuore. Lo sposo cristiano non domina sulla sua sposa, ma tenta di conoscerla, e di lasciarsi conoscere, lungo il cammino della vita matrimoniale. Il rispetto germina dal reciproco ascolto. Tutto questo, anche divagando, rimane una grande opera. 
E se dovessi inciampare? Scoprirei nel pianto la contrizione necessaria per permettere alla comprensione dell'errore commesso di sedimentare nella coscienza (cum-scire, conoscere con forza, conoscere con sforzo). Questo  perché? Affinché ottenga tu, di nuovo la benedizione celeste. Tutto ruota attorno al tu. La benedizione deve essere un forte e determinato desiderio personale, di un tu, per l'appunto. Non di un altro. Tu, cioè io, come individuo che, nutrito dalla Misericordia, chiedo quanto mi manca facendomi sentire in perenne difetto.
Senza l'ausilio della Misericordia (e so di essere ripetitivo), il dono che il Padre ha consegnato all'uomo in grazia dell'Incarnazione del Figlio che ha assunto la natura umana, ogni possibile opera rimarrebbe un pio desiderio.

Grazie Efrem il Siro, diacono e dottore della Chiesa.

sabato 30 maggio 2020

Come avvenne ai tempi di Noè...(Lc 17, 26-27)

Michelangelo - Diluvio Universale, Cappella Sistina, Roma

(Lc 17, 26-27) “Come avvenne ai giorni di Noè…”

Sono giorni strani. Tutto il periodo è strano e sfugge ad ogni minimo tentativo di comprensione. Forse non è questo lo sforzo che devo compiere. Capitano situazioni che non si devono capire in senso umano, momenti quando la ratio è posta sotto scacco da dinamiche che scivolano come sabbia tra le mani. C’è chi si adegua, chi si lascia trascinare dalla massa cercando nel conformismo il senso di una sicurezza che sa di impostura. Chi urla e recalcitra per le libertà negate. Chi sfida le istituzioni sperando in chissà quale personale momento di rivalsa nei confronti di ingiustizie subite. C’è posto per tutti, sotto il sole.

“…mangiavano e bevevano, prendevano moglie, prendevano marito…”

Non è più così. No. Oggi non si prendono più moglie e marito. Il matrimonio sacramentale è un sacrificio, un troppo impegnativo tentare di rendere sacra la vita condividendola in due nella libertà e nella solidarietà (originaria!). Spaventa la coppia unita, quella che costruisce sulla consapevolezza di una reciproca solitudine. Il calice è terribilmente amaro. Meglio un contratto da sciogliere. Più semplice. Meno compromettente.
Si mangia e si beve, sì. E tanto. Senza misura, ridendoci sopra, bagnando con l’ebbrezza l’inquietudine di stare al mondo. E’ preferibile mettersi comodi ad un tavolo per gozzovigliare piuttosto che abitare la scomodità del quotidiano.
Ripeto. Sono giorni strani. Nell’aria aleggia una presenza inafferrabile. Non si tratta del virus pandemico che ci ha assaliti e con preavviso, malgrado le nostre pretese prontezze. Qualcuno sta tirando dei fili. Altri preparano trame e orditi. Molti complottano alla luce del sole. E il vulgus profanum? Una movida dietro l’altra, una baldoria senza (apparente) fine. Bello intontirsi così. Bello ascoltare i cialtroni dell’informazione che ancora di più confondono acque già malsane e torpide. Torniamo allegramente a fare quello che facevamo prima. Ma la tragedia vissuta? Una parentesi da chiudere.

“…poi venne il Diluvio e…”

Non riesco a decifrare che cosa mi prende nel profondo. Scorgo dei segni che non chiedo di vedere. Il fatto mi inquieta. Perché non seguo la massa? Per vocazione?
Mangiamo e beviamo, dai! Lo fanno tutti, è la libertà dell'happy hours. Cosa aspetto a chiedere chi propone i cicchetti migliori?
Grazie. Vino e cibo sono piaceri da godere con cognizione di causa. Ora non posso. Anche se con il tumulto dentro il cuore, so che questi sono i giorni del Figlio dell’uomo. 
Mi tocca montare di guardia.


sabato 23 maggio 2020

...come scroscio sull'erba...(meditazione)




“…come scroscio sull’erba del prato,
come spruzzo sugli stesi di grano.” (Dt 32, 2)

         Ecco che cos’è l’eterna Provvidenza. Dio è in questi fenomeni, li muove nella benedizione di un divenire che non conosce interruzione, una serie interminabile di inizi che invitano all’Inizio.
         Immagino lo scroscio dell’acqua sul prato. Lo scroscio è improvviso. Non lo posso prevedere. Non lo riesco a programmare. Capita. Irrompe. E’ la voce di Dio che scuote Abramo dal sonno. E’ il miracolo del risveglio. Per quanto mi possa sforzare di pianificare ogni avvenimento della mia vita, lo scroscio dell’acqua, l’irruzione del Mistero, sfugge ad ogni tentativo di controllo. Non capita semplicemente, ma avviene. Per questo sfugge alla riduzione dentro i ristretti orizzonti del fatalismo e si trasforma nell’Evento.
         Penso alle prime giornate calde, all’afa che sale nel pomeriggio, quando l’aria comincia ad incollarsi sulla pelle del viso, sulle braccia. Penso alla notte, alle nuvole che si addensano e si accumulano fino a sciogliersi nella pioggia. Nello scroscio improvviso, quello che frantuma il silenzio senza dirti da dove arriva. Discende e basta, come JHWH che cavalca le nubi. Forse giunge da oriente, ma è una supposizione.
         La frescura che esala dal suolo bagnato ha un suo profumo, la terra umida una sua fragranza. Colui che impara a godere di questo, gusta la gioia della presenza di Dio, la sua Shekinà, negli attimi che segnano le occasioni disseminate nel quotidiano.

         Il grano è alto, maturo, pronto per la mietitura che ancora non avviene. Tutto viene rinviato ad un dopo, mentre ora, nell’istante si schiude una sospensione nello scorrere del tempo.
         Quanto è delicato uno spruzzo? Quanto deve essere allenato un occhio umano per cogliere la simmetrica bellezza di una miriade di goccioline aggrappate agli steli del grano? Lo spruzzo non viene asperso sulle spighe, ma sugli steli. Sotto. In basso, dove i raggi del sole filtrano nella penombra, dove le zolle ancora trattengono l’umidore della notte. Lo stelo sorregge la spiga rigogliosa di chicchi, veicola dalle radici la linfa, nutre senza trattenere se non quanto basta per irrorare le fibre che devono sorreggere il peso del frutto.
         Quali immagini sublimi. L’acqua è la Parola di Dio, la sua Legge, la giustizia dell’Amore. Il grano, i chicchi maturi e dorati, i frutti che godono della Luce del Sole che sorge. Io sono l’umile stelo che per vocazione veicola la linfa preziosa che attingo attraverso le radici. Nulla mi appartiene. Sono uno stelo, uno strumento. Eppure, quale gioia se comprendo che il grano, il frutto della conversione, è per tutti, in abbondanza e senza distinzioni.
         Devo farmi stelo e riconoscermi tale se desidero godere degli spruzzi rigeneranti. Stelo che conoscerà la falce, certo, ma spero consapevole del servizio che avrò tentato di donare alla spiga gonfia di Vita.


venerdì 14 febbraio 2020

Come va il tempo...


Come va il tempo nel sole ruggente
sul carnasciale strangosciante e stracco
con bautte sul muso appiccicate
per malcelare smorfie di dolore?

La primavera strana di febbraio
senza pudore mente a chi d’Amore
attende che rinasca puro Agnello
sull’abominio desolato e nero.

martedì 11 febbraio 2020

Fare anima...

Fare anima, soffrire tutto il fuoco
che dentro in vampe strugge sul confine
il miraggio dei limiti dettati
da convenzioni che strozzano angoscia.

Scendo: ignorante argonauta procedo,
preso alla cerca spaurita del lògos
che avvolge ambiguo oscuro, algida luce
nell’equilibrio della comprensione.

martedì 28 gennaio 2020

In cammino


Attorno è un mondo di suoni che rompono
Il ciarliero mutismo delle genti.
Straniero vado salendo sentieri
di disperata speranza poggiando
passi  malfermi su paludi insane.

sabato 25 gennaio 2020

Memoria e verità




La storia non si dovrebbe ripetere, Ma è inutile dirlo quando l’ignoranza sta riportando alla luce spettri inquietanti. La deriva del nazionalismo religioso è un morbo virulento e atroce perché si forma con l’ibridarsi di due ceppi: la ricadute verso modelli di autoritarismo becero e populista; la dilagante ignoranza del Vangelo, della Parola di Dio in genere (ignoranza biblica) e, di conseguenza una conseguente disarmante ignoranza di Cristo.
Fare storia vuol dire rendere memoria della verità. Ogni possibile cammino di riconciliazione, da non intendersi sempre come confusione e sincretismo, deve essere progettato e costruito sulla riscoperta consapevole delle proprie origini, dunque di quello che si è, armonizzata sulla condivisione della verità qualunque essa sia, attraverso la consapevolezza del dialogo.
Senza una coraggiosa ricerca della Verità, ed una sua percezione come esperienza strutturata e strutturante, la malattia dell’ideologismo rimane sempre in agguato. Ecco perché sarebbe opportuno principiare dal mondo cristiano cattolico, viste le responsabilità storiche accumulate (e per alcune delle quali è stato chiesto scusa), riscoprire un ordo veritatis modellato sul fondamento di un ordo amoris. Non devo dimenticare mai che solo amore e verità conducono a Cristo e alla fede nel possibile.

venerdì 24 gennaio 2020

Offerta


Parole di furore, prole astrusa,
l’orgia confusa sentimenti storce,
la mano stanca rattrappita scrive
perché altro non mi riesce ora che fuori
tutto rinsecca sotto il freddo gelo.
Così, intessando versi, lego assieme
gli scampoli del vero che riesco ad essere.

giovedì 23 gennaio 2020

L'uomo della novità

Cristo deriso - Rouault

Non uomo nuovo, ma uomo della novità. L’uomo nuovo è Cristo, posso io essere Cristo e/o sostituirlo? Forse sarebbe più opportuno chiedermi se può essere un uomo come Cristo? Se aggiungo come esprimo una tensione, questo significa che sono sempre in cammino nel tentativo di esserlo, ma non di sostituirlo. Per questo posso affermare con una certa tranquillità che sono una persona in costante ricerca e che già la costanza stessa della ricerca sostiene la possibilità di divenire come Cristo. Del resto, san Francesco d’Assisi è definito correttamente come alter Christus, l’altro Cristo, ovvero colui che riconosce Cristo come Altro nella scoperta di una costante novità. Letto impiegando questa prospettiva, dunque cristianamente ragionando, riuscire ad incontrare Cristo come il mio Prossimo.
Nell’altro mi posso specchiare, posso vivere la spinta ad imitarlo, ma sempre senza mai creare confusione e cadere nella sostituzione. Incontrare Cristo come prossimo approfondisce ulteriormente la relazione e le conseguenze che da questa potrebbero nascere. Prossimo, proximus, propissimuns. Il vicinissimo, colui che mi sta accanto o Colui a cui sto accanto. Non lo potrò mai sostituire, ma camminare con lui e in Lui si, come lasciare che lui cammini con e in me. L’altro indica la differenza, la prossimità la vicinanza, l’intimità relazionale. Genere prossimo e differenza specifica, selèm e demut. Immagine e somiglianza per riscoprire la novità della Creazione e in questa la condizione della creaturalità. Dentro queste coordinate spirituali, il timore di Dio assume la valenza teologica che gli compete. Quindi, camminare come alter Christus significa procedere secondo (non in senso ordinale) Cristo e come da Lui testimoniato.

Per fare sì che la novità rivelata dall’Uomo nuovo possa attecchire, occorre liberare l’orizzonte dalla folla di tutti coloro che credendosi come Gesù nel Tempio pretendono che sia sufficiente guardare a loro perché non è più necessario guardare a Cristo. La bontà della testimonianza rimane appesa all’onestà del testimone che proclama Cristo in totale libertà e nella luce della novità evangelica. Certo è che una condizione del genere è problematica e davanti a questo mondo è una grazia la problematicità del Vangelo.

Senza la novità rimaniamo dei poveri cristi.

Non si può giocare ad essere cristiani (Kierkegaard)

mercoledì 22 gennaio 2020

...io copro i tuoi occhi di foglie...




Ferdinando Tartaglia (1916-1988)
Coprire gli occhi di foglie…Che bell’immagine! Quali sensazioni. Il verso, così come composto da Ferdinando Tartaglia risuona: io copro i tuoi occhi di foglie. Un novenario che da solo reggerebbe un’interpretazione ermetica, anche se non lo permette. Mi ha toccato e devo ammettere che sono pochi i versi degli altri poeti che mi toccano e che, dopo un’esperienza strutturata, li posso definire con una consumata definizione, dei bei versi. Non mi piace usare queste espressioni, lo ammetto, ma la lettura dell’antologia Esercizi di Verbo mi ha fatto scoprire un’autentica selva di componimenti di pregevole fattura e raffinata ricercatezza. Premetto che si tratta di una lettura alquanto particolare, forse unica nel suo genere, dato che è stata distillata da una produzione manoscritta sterminata e mai mostrata a nessuno. Infatti, il lascito letterario di Tartaglia ammonta a migliaia di fogli manoscritti sui quali l’autore tornava periodicamente a lavorare esercitandosi, per l’appunto, nella ricerca poetica così come nella riflessione. 

Quello che posso affermare è che la lettura di questi esercizi poetici mi ha posto di fronte ad un impegno straordinario, un’ascesi messa in atto per meglio lottare prima martellando le parole dentro una lingua ribollente e performante, dopo gridando al mondo l’urgenza della novità.

Una figura interessante e provocatoria quella di Ferdinando Tartaglia. La figura di un uomo dalle fede rocciosa, sommersa e d’intelletto arguto, machiavellico che, malgrado la tormentata e tormentosa vicenda personale e spirituale vissuta rimase sempre e ostinatamente cristiano e cattolico. Come ogni cristiano cattolico di razza sperimentò il fascino perverso e abissale esercitato dal peccato. Bramò come un assetato l'acqua ristoratrice del perdono. Visse la vertigine della salvezza comprendendola quando messo di fronte alla dannazione della visio mortis e alla tragica possibilità di questa.

lunedì 20 gennaio 2020

Diacono Massimo Caccia " Tre canti per Maldoror " Voce: Sergio Carlacch...

Il Tuo silenzio...

Sacro Monte di Varallo Sesia (immagine dal web)




Il Tuo silenzio risuona difficile
mentre m’insegni a metterci le mani
nel mondo dove Sei voluto nascere.
Cosa appare di nuovo sotto il sole?
La polvere s’attacca sempre ai piedi,
le tombe vengono ancora imbiancate,
sovrane regnano ingiustizia e morte
nelle profonde lunghissime altezze.
L’amore segue un suo ordine, sale
come incenso che fumiga: io tremo,
balbetto, celebro quale custode,
inciampo in parole trafugate
sussurrando segreti.
                                 Dov’è il fuoco
del Vangelo? Sepolto sotto cumuli
d’ipocrisia, zittito e insudiciato.
Solo tacendo posso consegnarmi
al Mistero che avvolge queste tenebre.

sabato 18 gennaio 2020

Oropa

Non ricordo con precisione, ma l'ultima volta che sono salito al Santuario di Oropa risale a oltre quindici anni fa. Rammento che era estate, di sabato e in occasione di uno dei ritiri mensili della comunità diaconale della Diocesi di Novara. I cortili erano affollati come la Chiesa Vecchia. Il sole era alto. Una luce intensa avvolgeva l'intero complesso e le montagne attorno. Poi i canti durante la messa, l'incontro con il rettore. Il pranzo. Certo, perché si prega assieme, in queste occasioni, ma si condivide anche la tavola nel tentativo di fare umanità anche quando è difficile il solo provarci. Questi sono i ricordi, tra i quali riemergono le parole dette e pregate, i confronti e le aspettative davanti all'incognita del ministero.
Oggi è stato diverso. Diverso sotto ogni aspetto. La luce, ancora, la neve, il freddo pungente, la bellezza delle architetture (che ho gustato nella loro grandiosa bellezza e armonia rammentando quanto la tradizione racconta in merito a piante e misure che richiamerebbero il Tempio di Gerusalemme), le associazioni fluttuanti della mente. Camminando ho ricordato a mia moglie 'Alpi e santuari' di Samuel Butler, le lenzuola stese ad asciugare sul prato, il lavoro delle donne che accudivano i pellegrini in visita al santuario e ho immaginato. Immaginato tanto sperando di portare a casa qualcosa di più sottile assieme alla voglia di raccontarlo. Cercavo da giorni una simile occasione e senza troppe volute retoriche, con un minimo di fatica esistenziale, l'incanto s'è mirabilmente proposto nel silenzio interiore della pace.

Ora, mentre scrivo, avverto ancora la sensazione buona che ci ha accompagnati in questa visita. Sono i particolari a riemergere sempre differenti, ma è su questi che si contrappunta la fuga delle sensazioni, e un santuario mariano, se visitato e scoperto con la giusta disponibilità, schiude al cuore le profondità del trascendente. Come per miracolo si viene a creare una condizione oggettiva ed è quanto basta per far sì che la vita ritrovi un peculiare equilibrio.


Le montagne evocano la verticalità, l'anelito al cielo. I volumi degli edifici la materia colta nel divenire. Il respiro che cattura l'aria leggera dell'altitudine segna il ritmo del cammino che sale. Prima sono le grandi scalinate, La porta scenografica di Juvarra. I giochi dei vuoti e dei pieni indirizzano lo sguardo che tenta sempre di andare oltre i confini disegnati dalle prospettive. Poi è il momento dell'emozione, quella che scuote anche se lieve nel suo pulsare.Affacciarsi al sacello della Madonna Nera ha un suo sapore. 


Ricordo la Santa Casa di Loreto, un breve pellegrinaggio compiuto un pomeriggio d'estate quando assieme a Marco ho lasciato le distrazioni delle spiagge di Porto Recanati per una parentesi di preghiera. Forse tutto ha preso forma durante quei momenti. Potrebbe. In fondo, la vocazione è un addentrarsi nel mistero per  tentare di ascoltare un richiamo che rimane modulato su frequenze lontane dagli affanni della quotidianità. Solo oggi, dopo che lui se ne è andato distaccandosi definitivamente da queste mondo di sofferenza (non a caso la Parola di Dio definisce il nostro pianeta una 'valle di lacrime'), sento quanto l'impegno di pregare io per lui e lui per me ogni sacrosanto giorno, altro non abbia fatto che rinsaldare un legame spirituale che cresce sempre più forte. La comunione dei santi è una possibilità autentica, non una mera illusione. La sua verità si misura con l'umiltà di accogliere su di  le proprie miserie umane, i limiti, le incapacità e tutte le inadeguatezze. E' il timore di Dio che prende forma donando quella libertà che solo il dolore cosciente permette di guadagnare. Pregherò ogni giorno per lui, fino alla fine del mio tempo perché so che lui sta pregando per me, per sempre.

Un cappuccio. Un the. Qualche vezzo. Dopo il freddo e la contemplazione, un minimo di calore. Per me e per Giovanna è un attimo di equilibrio, quello che ci siamo concessi. Breve, d'accordo, ma le misure umane del tempo non contano nell'economia dell'Eterno.

Amen dico tibi: hodie mecum eris in paradiso.




uesta cittàè




mercoledì 15 gennaio 2020

Tre canti per Maldoror



Magritte - Maldoror

I

I canti del dolore sono scogli
nella tempesta, ma io non sono uno scoglio,
è sostanza di carne la mia roccia,
per questo soffro colpe che non confesso.
Imploro l’Assoluto esploso, deploro
il vivere smodato e piatto, bieco
tributo pesato con libbre di carne
e mai coniato su insulso metallo.
Maldoror, la tua morte chiama il vino
forte dell’abbandono e nell’esequie,
scellerati intoniamo oscuri salmi,
rigurgiti d’amore e quieta fine,
ma ancora i giovani non si ribellano.


II

Il vento strappa fogli di ricordi
da questo giorno che consuma freddo.
La solitudine pesa nell’aria
mentre aspetto che la Grazia ritorni
in voci aggrovigliate per l’attesa.
Se guardo oltre le palpebre chiuse,
già tutto sembra inutilmente morto
in questa condizione disperata:
lo dico per far si che non ti fermi
sul momento imbevuto di veleno.


III

I cieli sono sbarrati da tempo
e non so quanti evi sono trascorsi
sotto un manto di nuvole assassine.
Passare sembra essere normale sorte,
come rassegnazione insegna quando
la lucidità salda del pensiero
da mare cristallino s’è ormai fatta
torpida come le acque dello Stige.


domenica 12 gennaio 2020

Sulle righe storte...

Immagine scaricata dal web

            Sono stanco di condurre questa vita. Delle notti insonni. Dei pensieri difficili. Vorrei scollarmeli di dosso come si fa con la fodera unta e vecchia di un libro…

            Che illuso! Posso cambiare la carta o il cellophane, o l’acetato che foderano un libro. Pulire con la gomma pane le ditate nere, la polvere rappresa, le macchie di muffa…Tutto questo lavoro senza andare a toccare il testo scritto, il contenuto, che magari ho pure sottolineato con accorta ostinazione evidenziando, soprattutto, i passaggi inutili e verbosi.

            Sono condannato? Insomma: l’unico destino che mi attende è la poltiglia glutinosa del macero? L’incubo della cartiera onnivora?

            Ognuno ha il personale fonditore di bottoni che lo insegue, non lo devo dimenticare! Una fuga senza fine non conduce da nessuna parte, nemmeno quella più avventurosa ed appagante che si possa arditamente immaginare.

            Chi vuole cambiare non si ferma davanti alla stanchezza…Pagando, comincia a rimboccarsi le maniche e…

            Forse c’è ancora Qualcuno in grado di scrivere diritto sulle righe storte! Ma mi devo fidare.

sabato 11 gennaio 2020

Fu sera e fu mattina...


Fu sera e fu mattina, si può leggere
Nel mito antico e nel tempo scandito,
nel solco d’un giorno qualunque speso.
Che cosa sono adesso qui, spalmato
Nell’attesa che transiti il banale,
che sfoghi il temporale nell’elettrico
tripudio quando il tempo degli abbracci
smorza l’ansia dell’essere all’altezza?
Questo cielo strangolato dai pappi,
manna pagana, pegno delle Erinni
m’invita all’adunanza dell’occaso.
Fermo, m’impongo! Sono ancora poche
le rondini che venerano guglie
e campanili: devo fare memoria
di come sanno trovare l’indizio
per non smarrire la strada di casa.

mercoledì 8 gennaio 2020

Davanti...


Davanti i monti, la fredda bellezza
di gennaio e la neve alta e lontana.
Una campagna pallida di nebbia
attorno inghiotte ogni dimensione.
La sospensione di questa poesia
affogata nel pianto stona
con la mia nullità d’uomo.
                                                 Ora sento
il silenzio di Dio. Lo rintraccio
disperso sotto il peso della sera,
nascosto dal manto dell’imbrunire.
Cosa centro con tutto questo?
La vita ancora m’ingarbuglia dentro
geometrie ghiacciate, esperimenti
d’ingegneria sociale, rigorose
mappe sinottiche, anche se l’Eterno
dilegua liquido nel divenire.

martedì 7 gennaio 2020

Essere...


Essere come appeso all’impossibile,
già il titano con urli s’alza fosco
come JHWH che cavalca le nubi
e con la mano possente sbaraglia
dei filistei le torme innumerevoli.
Il rombo sordo del silenzio stende
un ronzio di parole piatte sotto
truffate stelle: quale il segreto?
Nero d’asfalto, lamiere e carcasse
e questa terra desolata e stanca.

lunedì 6 gennaio 2020

Silenzio ancora...


Silenzio ancora. Il vento tra le fronde
e marzo scuote le gracili frasche
mentre indugia tra pigre gemme il caldo,
nel nulla gonfio di cagliati umori
s’incarna la crisalide dell’anima:
sebbene l’alitare dello Spirito
le ali esigono l’offerta antica.

mercoledì 1 gennaio 2020

Nuptiae Mysticae 1


Sogno una fuga di stanze bianche
una casa come quella che vivo,
anche se le stanze non sono bianche,
ma sono un disordinato racconto di vita.

Ci sono oggetti che amo come i libri,
una poltrona lurida e sfondata, qualche
ammennicolo strano come un coniglio
di resina con le orecchie tranciate.

Non è molto, lo so, e di ciarpame è colma
l’esistenza che conduco perché il bianco col suo bagliore
mi spaventa più del nero, per questo
vedo la morte come una pesante mano di biacca.