Magritte - Maldoror |
I
I
canti del dolore sono scogli
nella
tempesta, ma io non sono uno scoglio,
è
sostanza di carne la mia roccia,
per
questo soffro colpe che non confesso.
Imploro
l’Assoluto esploso, deploro
il
vivere smodato e piatto, bieco
tributo
pesato con libbre di carne
e
mai coniato su insulso metallo.
Maldoror,
la tua morte chiama il vino
forte
dell’abbandono e nell’esequie,
scellerati
intoniamo oscuri salmi,
rigurgiti
d’amore e quieta fine,
ma
ancora i giovani non si ribellano.
II
Il
vento strappa fogli di ricordi
da
questo giorno che consuma freddo.
La
solitudine pesa nell’aria
mentre
aspetto che la Grazia ritorni
in
voci aggrovigliate per l’attesa.
Se
guardo oltre le palpebre chiuse,
già
tutto sembra inutilmente morto
in
questa condizione disperata:
lo
dico per far si che non ti fermi
sul
momento imbevuto di veleno.
III
I
cieli sono sbarrati da tempo
e
non so quanti evi sono trascorsi
sotto
un manto di nuvole assassine.
Passare
sembra essere normale sorte,
come
rassegnazione insegna quando
la
lucidità salda del pensiero
da
mare cristallino s’è ormai fatta
torpida
come le acque dello Stige.
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