Il rifiuto della memoria, storica e non, sembra essere il male della pseudo cultura che lacera l’identità italiana e che vorrebbe appiattire quelle differenze che fanno la comunità intellettuale e la forza di un popolo.
Personalmente ho sempre ritenuto un dovere umano ed intellettuale il fare memoria. Il nostro occidente si fonda su una tradizione che radica nell’esercizio della memoria il suo essere e sussistere ecco perché sarebbe opportuno rammentare che la negazione di tale verità porta inevitabilmente alla rottura se non alla ribellione (Buttitta docet).
Ho appena terminato la lettura di “Sequenze di memoria” di Loriano Macchiavelli. Un bel noir, malgrado l’ètà. Amaro quanto basta. Duro, laddove necessario. Chiaro e diretto, dunque: attuale.
Lo scempio ecologico, dramma che sorregge come un arco narrativo l’intero raccontare, rappresenta il pretesto per mimetizzare drammi umani irrisolti, passioni, per l’appunto che ancora persistono poiché abbarbicate a sequenze di memoria, per l’appunto.
Senza memoria non può esistere narrazione, mi verrebbe da scrivere. Vero, dato che ogni situazione cha la nostra immaginazione è in grado di elaborare si fonda sempre su coordinate esistenziali che attingono dal mare magum del vissuto. Vissuto che viene rielaborato, distorto, rimosso, talvolta negato. Non posso contestare ciò di cui non ho fatto esperienza, dunque basandomi esclusivamente sulla facezia della chiacchiera e del sentito dire. Questo è il problema. Macchiavelli stesso lo sostiene: alla fine, la memoria grida la sua parte anche laddove conduce alla tragedia.
Mi è piaciuto da subito il titolo: Sequenze di memoria. Una sequenza è un insieme ordinato di dati, di operazioni, un ordine che, se io manipolo, non produce il risultato desiderato o richiesto. La memoria è un sequenza, manipolabile oserei affermare, osservando tra le pieghe delle vicende contemporanee anche se a rischio, come ho sopra scritto. Penso al DNA, all’idea di origine, di radice. Penso a quanto dolore l’essere umano vive quando messo davanti alla sua genesi, all’ineluttabilità della sequenza cromosomica, quella che ci lega a genitori, antenati, luoghi, culture. Penso alle terribili operazioni d’ingegneria culturale e genetica che si tentano, ad una fantascienza che non appare più come tale, allo spettro della cibernetica (Heidegger docet).
La memoria non riconosce la proprietà commutativa: se inverto i fattori, il prodotto non sarà mai lo stesso! La letteratura insegna.
Fare della buona letteratura è un dovere intellettuale, un’onestà da rintracciare, un imperativo assoluto appeso sulla desolazione del qualunquismo. Insomma: la memoria m’invita a leggere bene per scrivere bene, per comunicare impiegando registri espressivi decifrabili malgrado la complessità e raffinatezza di una ricerca linguistica.
La memoria intermittente. Non so come l’ho rintracciata, quest’espressione. Intermettere: verbo irregolare italiano poco usato se non per generare uno stato l’intermittenza, che richiama le catene luminose con le quali agghindiamo alberi di natale,presepi, case etc. E’ interessante la similitudine che si viene a generare. Metter luce nel buio o buio nella luce. Mettere memoria nella vita presente, nell’oggi o l’oggi nella memoria. Si schiude un universo! L’oggi, l’adesso, l’hic et nunc, per essere narrato necessita sempre della memoria anche laddove vado ad impiegare la presa diretta del presente: ci sarà sempre un luogo, un anfratto, un chiara occasione per fare memoria.
Mi vengono i brividi: la letteratura può veramente tanto! Finzione e realtà, stati onirici…le connessioni potrebbero risultare infinite, condurre all’alienazione almeno che non s’impari a nutrire il presente dell’atto creativo con il controllo dell’attenzione, con l’esserci, padrone della situazione.
…e poi: ogni libro rappresenta un pretesto.
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