streben
E’
una condanna, quella di scrivere
e non sai mai se
saranno rime
oppure l’accartocciarsi
di prose.
Quello che pesa è che
palpitano
mentre affogo nel nulla
oscuro
di un’inattività
disarmante.
Poi tutto sdrucciola e
mastico rabbia
che d’improvviso trapassa,
magari colpa
d’un sorriso o se
schiaccio lo sterco
che m’ingrassa i passi
stanchi:
so che le piaghe del
viandante infiammano
bendate con stracci lisi
di passione.
Se non fosse per lo streben
della vita
che affligge, il
languore del vino forte,
da un pezzo mi sarei
concesso
all’oblio osceno della
morte:
il fatto è che i cieli
narrano, l’uomo
depenna e io, talvolta,
insulto.
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