E' un pensiero che mi passa durante questi ultimi giorni. Un tormento, oserei affermare, come sono un tormento tutte quelle domande che assumo i caratteri dell'originalità.
Dopo qualche mese di abbandono sono tornato a studiare nuovamente le "Rime" di Dante nella bella e storica edizione curata da Gianfranco Contini e più volte riedita da Einaudi nella collana Classici Italiani Annotati. Libri straordinari, perfetti, accurati...da tagliere con estrema attenzione e pazienza come si faceva una volta.
La lettura non è facile, ma per me rappresentano cibo per lo spirito e materia per l'ingegno, insomma: fonte di ispirazione (senza essere retorico!).
La questione è un'altra e non ha nulla a che vedere con i testi, sempre impegnativi e di non immediata comprensione, ma con l'apparato critico, preciso, chiaro ed erudito. Perchè?
Perchè, nonostante la profondità filologica della critica offerta, sembra mancare sempre un qualcosa e questo nel caso di alcuni testi in particolar maniera, quelli "maltrattati" appunto e, paradossalmente, non da Contini il quale, lascia aperte delle finestre evitando di andare a dibattere su argomenti ostici e complessi di squisito carattere filosofico, spirituale ed umano.
Chiariamo una cosa: maltrattati da chi? Dalla letture scolastiche e non, quelle che vogliono sempre andare ad incasellare un autore in una comoda cerchia, movimento o gruppo. Dalla mania di affibbiare a ciascuno un "ismo" di appartenenza.
Ed ora veniamo al testo, lo strafamoso sonetto "Guido i' vorrei che tu, Lapo ed io...". L'ho letto e riletto. Smontato e rimontato e mi sono rimaste queste domande. Prima il testo, però.
Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch'ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse 'l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch'è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:
e quivi ragionar sempre d'amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i' credo che saremmo noi.
In questo sonetto si parla di un'amicizia non ordinaria, di un consesso di persone che comunicano tra loro usando la poesia come mezzo. Sono tanti i sonetti inviati ad altri, così come altrettanti quelli restituiti in risposta a formare lunghe catene poetiche che solo apparentemente sembrano accennare alle stesse tematiche.
Che genere di amicizia condivisero Dante, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Cino da Pistoia, Dante da Majano...perchè quest'occupazione, solo per il fatto che erano tutti più o meno benestanti e non sapevano come occupare il tempo? Un gruppo di mammoni innamorati delle altrui donne?
E se fossi mo davanti ad un linguaggio cifrato ingegnosamente costruito?
Incantesimi, vascelli (navi, barche...arche, governate senza remi e vele), fortunali (cataclismi, finis mundi, diluvio), voler vostro e mio, un intento comune, un progetto, talento (scopo).
Potrei continuare, ma scelgo di offrire delle chiavi. Se i poeti sono soliti dire, ebbene: qui c'è molto di più di un semplice esercizio poetico nobile e borghese. Se il poeta indica (occupazione che identifica le divinità greche), allora...non voglio stupire nessuno, se non restituire alla poesia quella cifra umana e sociale che le compete evitando di maltrattarla. Qui, e non solo, siamo davanti ad esempi di grande impegno insegnando come l'uomo s'etterna, ovvero: come potrebbe crescere, evolvere interiormente verso l'individuazione.
Il sonetto in questione, come altri ed anche ballate e canzoni, tratteggia una mappa che vuol rivelare un percorso iniziatico ben definito: alla ricerca d'Amore. Un Amore che nulla ha di antiquariato romantico, ma che possiede dei custodi che impediscono l'accesso al luogo del profondo ai non degni.
Poeta in tedesco si dice dichter, poesia dichtung, e non a caso.
Mi fa ridere quando definiamo Foscolo un materialista, Leopardi un pessimista dimenticando quanto questi uomini, magari meno di Dante, seppero cantare la profondità dello Spirito umano trascendendo i limiti della materia e della ragione stessa. Dante sembra essere andato oltre, ma nessuno, tranne la sua poesia, potrà indicarcelo.
Allora, smettiamola di maltrattare i poeti, quelli veri, per favore, quando loro non fanno che indicare un cammino che ad altro non conduce se non alla salvezza.
Continuerò!!!