La scena che Luca racconta è drammatica e profetica. A Nazareth, dove risiedono i benpensanti, dove si è religiosi fino al fondamentalismo, dove la legge viene indagata perdendosi nella più recondita filigrana del legalismo, dove si filtra il moscerino per ingoiare il cammello, tutti rimangono scandalizzati dalla predica di Gesù e dalla serenità con la quale annuncia l’avvento dell’amore al posto della vendetta che avrebbe dovuto restaurare uno status ideologico, il regno degli uomini piuttosto che il Regno di Dio.
Gli
occhi di tutti sono su di Lui, dopo che ha terminato la lettura della pericope
tratta dal capitolo 61 di Isaia. Sono occhi che non vedono e orecchie con non
odono, sono i ciechi e i sordi nella fede, i consacratori dell’inverosimile. Non
resistono alla Luce della vita, al richiamo profondo che invita a comprendere
chi siamo e che cosa siamo (chi tra di voi è senza peccato…) e infuriandosi
tentano di uccidere Gesù, di toglierlo di mezzo perché è scomodo amare secondo
il Vangelo. Meglio l’ipocrisia, meglio i sepolcri imbiancati.
Anche
oggi è possibile uccidere Gesù, troppo spesso lo uccidiamo anzi: lo uccido. I benpensanti
inorridiscono e altro non sanno fare che chiedere ‘ma come? Io? ma se sono
sempre stato impegnato, se ho sempre pregato, e i miei buoni propositi, dove li
metti?’
Questo
accade quando riduciamo Gesù ad un’innocua immaginetta, al composto moralizzatore
politicamente corretto. Quando lo vediamo come un bravo consolatore per le nostre
miserevoli pene, egoisticamente invocato in preghiere ripetute con maniacale
meccanicità e stolida quantità. Insomma: addomesticato affinché non possa
nuocere, come sosteneva Adriana Zarri.
Questo
succede perché ho paura della torma vociante, di chi urla crucifige!,
dalla tassonomia da casellario giudiziario che troppo condiziona la ricerca di
quella condizione che si chiama fede e vita nella misericordia.
Che
i luoghi del sacro secondo gli uomini, sono i più pericolosi per il Figlio di
Dio perché lui è il Santo. La sacralità che ci ostiniamo a voler tramandare può
essere un baratro vuoto allo stesso tempo inviolabile, uno spazio organizzato e
gestito con leggi dove vivere separati per non condividere e dunque una
ricaduta nell’idolatria…deorum manium iura sacra sunto…Non così la
santità, una condizione di vita che Gesù condivide con l’uomo, che è fatta per
l’uomo, un dono del Santo dei Santi.
Se
Gesù che è il Figlio dell’uomo santifica perché è santo anch’io posso
santificare perché è in Lui che questo accade, perché ha assunto l’umanità e
nell’umanità il mondo intero santificandolo.
Grazie per la bella proposta di riflessione che mi fa ricordare che nel quotidiano non ci sono solo i miei punti di vista ma l'invito di andare con Gesù oltre per rendere presente l'amore come fonte di vita
RispondiEliminaGrazie per avere letto la mia meditazione. Saper che lo fate da 'mia' la rende 'nostra'. Buona domenica.
EliminaGrazie mille don Massimo
RispondiEliminaGrazie a te, caro fratello e buona domenica
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