Leggere scritture sacre è
obbedire a una precedenza dell’ascolto. Inauguro i miei risvegli con un pugno
di versi così che il giro del giorno piglia un filo d’inizio. Posso poi pure
sbandare per il resto delle ore dietro alle minuzie e al da farsi. Intanto ho
trattenuto per me una caparra di parole dure, un nocciolo d’oliva da rigirare
in bocca.
Erri De Luca, Nocciolo
d’oliva
Leggere scritture sacre è
obbedire a una precedenza dell’ascolto. Sacrosanto! Prima viene
sempre l’ascolto. Perché lo dimentico? Perché non ho ancora imparato a fare
silenzio. Solo nel raccoglimento del silenzio si può cominciare ad ascoltare. Abramo
vive l’ascolto nella notte. Muhammad ha ascoltato nella grotta di Hira vivendo
la sua esperienza teopatica. I saggi che hanno dato avvio alla tradizione orale
vedica hanno ascoltato (Śruti) la rivelazione. Ascoltare è un’esperienza
umana, aurorale, una precedenza appunto perché dovrebbe venire prima. Senza
questo riconoscimento non è possibile leggere nessuna scrittura sacra. Ascoltare,
e il saperlo fare, riempie di senso il quotidiano insegnando ad accogliere sé
stessi nell’incontro con l’altro e con il mondo. Ma prima è sempre un
ascoltarsi rivolgendo lo sguardo dentro, imparando l’arte dell’intus lègere.
Per queste ragioni, e senza timore alcuno, posso affermare che un persona è
intelligente perché ha appreso la via dell’ascolto.
Il giro del giorno piglia
un filo d’inizio. Un filo. Sembra che un esilissimo filo sia
sufficiente per non perdere l’orientamento nella distrazione di questo mondo.
Mi sveglio. Seguo i consunti rituali mattutini fatti di poche cose iniziando
con l’impegno della Liturgia delle Ore (già questa una benedizione) per
concludere con la Scrittura. Questo per me. Da come leggo, e su questa riflessione
sono tornato diverse volte, Per De Luca la Bibbia è un appiglio, è la sporgenza
alla quale aggrapparsi per non precipitare nel vuoto del baratro della quotidianità.
Il giorno ha un suo giro, come il vento. Il giro, un cammino che si compie
indipendentemente dalla mia/nostra volontà. Il giro ha sempre un inizio e una
fine, altrimenti non sarebbe un giro, una sorta di cerchio, ma una migrazione.
Chi fa un giro ritorna sempre a scapito dell’ineluttabile e della prigionia
nella casualità.
E’ vero. Anche se spesso
i versetti che si leggono sembrano lontani e muti, talvolta grigi come i
reperti delle epoche remote, domandano di andare oltre, di non stancarsi mai
dello sforzo perché prima o poi si aprono infrangendo il velo di Maya per
rivelare tesori insospettati. Questo
modo di agire ha un suo gusto. Si fonda su un ricordo, un appuntamento che
profuma di impegno schiudendo alla dimensione della possibilità. Per cogliere
ciò che è possibile devo essere in una condizione qualitativamente diversa da
quella ordinaria. Allora giungerò ad assaporare l’Inizio, io che sono iniziato,
cominciato, e sarò finalmente in grado di penetrare in un attimo di estasi.
Posso poi pure sbandare…Dovesse
accadere saprò che ho trattenuto per me un qualche cosa di prezioso. Non è per
niente scontato, certo, ma quello che pesa è l’averci onestamente provato. La
banalità cerca sempre di portarmi via tutto quello che può riducendomi ad un misero
cencio ecco perché non bisogna cedere, ma resistere. Se so che le cose sono
messe come sono, significa che la risoluzione del problema deve passare
attraverso un’altra via, quella che la Scrittura mi indica da secoli.
Bella l’immagine del
nocciolo d’oliva. Se sono riuscito ad assaporare il gusto della polpa, poca ma
intensa nella sua fragranza, il nocciolo che trattengo in bocca mi rimanda
sempre all’intero. Anche se non con le stesse proprietà, veicola un suo gusto
stimolando la ruminazione, quella ruminatio praticata dentro quel santo
istituto che è la Lectio divina.
Parole dure. E
allora? Chissà per quale motivo mi hanno insegnato che non c’è nulla di duro
nell’esperienza cristiana, che tutto è gratuito, che Gesù passa e trasforma
tutto con una bacchetta magica. Sbarazzarsi di tutte le false immagini che mi
hanno fatto e mi sono fatto di Dio non è per nessuna ragione così semplice.
Probabilmente è perché per demolire le comodità di una credenza infantile devo rischiare
giungendo alla tabula rasa dell’ateismo, quando scatta la molla del rifiuto. La
fede non ha nulla della credenza. La fede la respiro nella Scrittura quando
dopo l’esperienza di soffocare torno a respirare a pieni polmoni e la cosa non
è per nulla indolore. Sono parole che respingono, vero. Ma non mi devo stupire.
L’idea di intraprendere un lungo cammino non incoraggia mai, anzi. Lo ammetto
senza retorica: la mia comodità spirituale ha bisogno di parole dure,
taglienti, per ritrovare il digiuno della ricerca.
Sputare il nocciolo,
dunque, assumerebbe i connotati di una rinuncia che sa già di spreco,
dispersione…disattenzione.
Un ultimo pensiero. L’ulivo
è un albero biblico, squisitamente evangelico. L’olio, il suo estratto
attraverso la sapiente opera di spremitura, un balsamo del quale spesso
dimentichiamo le virtù. Comunque, nel frantoio sono lavorati anche i noccioli.
Splendide riflessioni!!!
RispondiEliminaGrazie Massimo
Grazie Luigi, buona giornata.
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