Scavi di Elea (immagine dal web) |
Tenebre assassine voraci
d’incubi,
ho attaccato le cavalle al carro,
ebbro
di sogni inconclusi e via, voce a
succubi
pensieri, con stridore barbaro di
ferro
sulla strada dei numi.
Madre oscura,
grembo profondo, l’ombra dura
strazia remote emozioni d’amore,
calce spenta, quartieri e
suburre,
ferrofuocofiamme, pietra che
frana.
Sono fuori, finalmente, sotto un
cielo
rigato d’aurora, vetro infranto,
coccio
(un mattino tetro m’attende). Un
rogo
avvampa la carne: per troppe
estati
ho ceduto all’inganno di lingue
forcute
per frotte a due teste d’insana
mania.
Ciao Massimo, tutti cediamo all'inganno, nasciamo e viviamo nella sua culla, siamo ciechi che non conoscono veramente la strada dell'essere, solo alcuni hanno la giusta percezione di come essa sia realmente e la cercano attraversando, con grande fatica, il mare di sofferenza del disinganno.
RispondiEliminaBellissima poesia!
Versi forti come il bronzo in cui sono incisi!
RispondiEliminaBeh, troppo sul filosofico, difficile tenere il passo. Questi passaggi da Platone a Parmenide, troppo tosti, per lo scrivente. Quanta polvere, respiro!!!
RispondiEliminaI sogni inconclusi chissà se riprenderanno da dove erano rimasti sospesi.
RispondiEliminaTroppi inganni in questo mondo.
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