Entra un tizio veloce e in retromarcia e mi sbatte
contro uno dei pilastri del cancello.
La botta è forte e in una frazione di secondo, come si
dice, ti ritrovi bello che stordito e ci vuole un attimo prima che t’accorgi
che quello che ti ha pesantemente speronato è un camion frigo dell’Eismann.
Cosa strana: non mi incazzo. Scendo e guardo il retro
sfondato della mia Mercedes, il fanale in frantumi e la portiera di destra con
dentro lo spigolo del pilastro grattugiato dall’impatto.
Il tizio scende. Mi viene vicino e dice con candore:
- Non mi sono accorto che lei stesse uscendo dal suo
cancello.
Chissà perché non lo rimprovero duramente. Ne sarei
pienamente in diritto. Sono come disincarnato dalla situazione che sto vivendo.
Stento ancora a capacitarmi mentre penso alla lezione che avrei dovuto tenere
quel pomeriggio in facoltà e che sfuma via come un miraggio malgrado le mie
buone aspettative.
Ci vuole un attimo prima che riesca a rinvenire il
bandolo della matassa che s’è srotolata attorno alle due e trenta di un
qualsiasi e insulso giovedì. Cosa ho scritto? Una giornata può essere insulsa?
Credo proprio di sì, perché al mattino anziché poter fare scuola mi sono
dovuto sorbire l’incontro con la Croce Rossa, utile certo, ma una terribile
perdita di tempo quando l’anno scolastico si trova ormai agli sgoccioli e già
cominci ad assaporare la voglia di liberarti da orari e impegni funzionali
all’insegnamento. Il risultato è un leggero mal di testa perché non sopporto il
sole e il pizzicore dei pollini comincia a farsi sentire.
Un momento! Sono ancora con il tizio dell’Eismann. Ci
sediamo sotto al gazebo che ho montato proprio ieri, primo maggio. Costatazione
amichevole. Dati. Assicurazioni, patenti. Lui che mi racconta degli altri
incidenti che gli sono successi sempre entrando in retromarcia in vicoli
privati e chiusi come il mio. Una storia di tutti i giorni. Capita, tra un
pacco di patatine fritte e una confezione di gelati al cioccolato. Certo è che
se mi avesse preso un metro solo più avanti, sarei finito all’ospedale e non so
in quali condizioni. Tutto perché non mi ha visto e manovrando all’indietro
guardava solo nello specchietto alla sua sinistra. Cose del genere, capitano
troppo spesso!
Poi arriva il carrozziere, accerta il danno e non
crede al tizio dell’Eismann quando gli racconta che stava entrando adagio.
Intanto l’auto non riparte. Queste meraviglie della tecnologia tedesca con
chissà quante centraline e computer di bordo, quando s’inchiodano non si
riaccendono nemmeno se le attacchi ad un traino di muli.
Da parte mia me ne rimango li a guardarli mentre
tentano il possibile per riavviare il motore e ritirare il povero mezzo
incidentato nel cortile di casa. Mi sento strano. Leggero. Non posso dire
assente, ma invischiato in una dimensione ovattata dove sembra impossibile
scadere nell’ira funesta del pelide Achille. A cosa servirebbe poi, dato che il
tizio, che scopro chiamarsi Stefano come mio fratello, s’è dimostrato
disponibile nell’ammettere la sua colpa e detestarla?
Intanto la mia auto ridotta a mal partito non riparte.
Tutto gira, tutto s’accende, navigatore pure, ma il motore non accenna a nulla,
solo un sussultare desolato del motorino di avviamento.
Comincio a sentire la sconsolazione montare, mentre
tutti parlano e si perdono in mille considerazioni. Prima il carrozziere chiama
la concessionaria Mercedes di Novara dove gli dicono che solo loro sono in
grado di eseguire diagnostiche del sistema accurate. Per evitare costi simili a
fucilate, ricorriamo al mio elettrauto di fiducia. Lui, dopo essere arrivato,
con qualche abile manovra, capisce tutto. L’intoppo è dovuto al fusibile della
pompa del gasolio che s’è bruciato a causa dell’impatto. Una volta sostituito,
il motore riparte. Unico particolare: un iniettore che sfiata.
Tutto sembra finito. L’auto è accesa. Devo solo
portarla dal carrozziere al resto penseranno le assicurazioni. Il tizio
dell’Eismann, Stefano, è da un ora fermo col suo camion in mezzo al mio vicolo.
Mi segue mentre controllo le fotocellule del portone.
- Mi dispiace di averle rovinato la giornata! – Dice
mentre risistemo la mascherina ad uno dei sensori. Mi alzo e lo guardo. Poi
dico:
- Mi ha rovinato la macchina, non la giornata.
- Mi dispiace, - aggiunge prima di ripartire per il
suo consueto giro di vendite alle sue
clienti tra le quali c’è mia suocera.
Uno scorno. Un terribile scorno, per fare il verso
alla poesia. Ci vuole un’ora prima che riesca a realizzare l’entità del
pericolo che ho corso. Questo avviene quando recupero il bandolo della matassa
dell’esistenza.
Sono andato a riprendere mia moglie a scuola usando
l’auto di mio suocero. Lei intuisce subito qualcosa quando mi vede salutarla
dal finestrino della Ipsilon grigia del padre.
Mentre le racconto l’accaduto, sento la precarietà
dell’esserci salire dal profondo. Un metro e mi avrebbe colpito con lo spigolo
posteriore del cassone frigo conciandomi per le feste. Questo è il significato
della stranezza che mi ha assalito fino dai secondi dopo l’impatto. Così
sarebbe finito il piccolo padreterno che troppe volte mi racconto di essere.
Non riesco a capire il perché, ma necessita tutta la
sera affinché riesca a recuperare qualcosa, tenendo in mano il ritrovato bandolo
della matassa. Riavvolgo la mia vita, lentamente, fino a quando è possibile,
prima di addormentarmi chiedendomi quale senso possano assumere gli avvenimenti
che ci accompagnano nell’economia della quotidianità.
Prima di cedere al sono, dalla televisione vengo a sapere
che oggi è morto Max Catalano, il filosofo dell’ovvio amico di Renzo Arbore,
quello che diceva che si vive meglio con due pensioni piuttosto che con una.
Come avrebbe filosofato al mio posto?
Meglio avere la macchina da carrozziere che essere
all’ospedale con la spalla fracassata e il viso coperto di tagli, e qualche
lesione interna guaribile in una manciata di giorni.
E’ questo il bandolo della matassa?