sabato 29 gennaio 2022

Meditazione su Luca 4, 21-30

 

La scena che Luca racconta è drammatica e profetica. A Nazareth, dove risiedono i benpensanti, dove si è religiosi fino al fondamentalismo, dove la legge viene indagata perdendosi nella più recondita filigrana del legalismo, dove si filtra il moscerino per ingoiare il cammello, tutti rimangono scandalizzati dalla predica di Gesù e dalla serenità con la quale annuncia l’avvento dell’amore al posto della vendetta che avrebbe dovuto restaurare uno status ideologico, il regno degli uomini piuttosto che il Regno di Dio.

Gli occhi di tutti sono su di Lui, dopo che ha terminato la lettura della pericope tratta dal capitolo 61 di Isaia. Sono occhi che non vedono e orecchie con non odono, sono i ciechi e i sordi nella fede, i consacratori dell’inverosimile. Non resistono alla Luce della vita, al richiamo profondo che invita a comprendere chi siamo e che cosa siamo (chi tra di voi è senza peccato…) e infuriandosi tentano di uccidere Gesù, di toglierlo di mezzo perché è scomodo amare secondo il Vangelo. Meglio l’ipocrisia, meglio i sepolcri imbiancati.

Anche oggi è possibile uccidere Gesù, troppo spesso lo uccidiamo anzi: lo uccido. I benpensanti inorridiscono e altro non sanno fare che chiedere ‘ma come? Io? ma se sono sempre stato impegnato, se ho sempre pregato, e i miei buoni propositi, dove li metti?’

Questo accade quando riduciamo Gesù ad un’innocua immaginetta, al composto moralizzatore politicamente corretto. Quando lo vediamo come un bravo consolatore per le nostre miserevoli pene, egoisticamente invocato in preghiere ripetute con maniacale meccanicità e stolida quantità. Insomma: addomesticato affinché non possa nuocere, come sosteneva Adriana Zarri.

 Così, nel tumulto, viene letteralmente buttato fuori dalla sinagoga e condotto sull’orlo di un precipizio affinché giustizia venga fatta per riparare alla blasfemia. Anch’io lo butto fuori dalla mia vita quando mi dimentico della fede che dovrei custodire, trafficare e testimoniare. Così lo tengo lontano dalle mie decisioni, dalle mie relazioni, dalla quotidianità rendendola sterile e facile preda della morte abitando un mondo etsi Deus non daretur.

Questo succede perché ho paura della torma vociante, di chi urla crucifige!, dalla tassonomia da casellario giudiziario che troppo condiziona la ricerca di quella condizione che si chiama fede e vita nella misericordia.

 Cosa fa Gesù? Passa nel mezzo della folla, cammina attraverso la morte perché è già luce della risurrezione. Luca mette in relazione la sinagoga di Nazareth, dalla quale viene buttato fuori, con il Calvario, quando sarà giustiziato fuori dalle mura di Gerusalemme. Gesù è già risorto e mi indica il cammino da seguire, il tragitto lungo il quale mi affianca sorreggendomi nella debolezza della mia umanità.

 Cosa posso dedurre da tutto questo, che è sempre un nulla se messo a confronto con la fecondità del Vangelo?

Che i luoghi del sacro secondo gli uomini, sono i più pericolosi per il Figlio di Dio perché lui è il Santo. La sacralità che ci ostiniamo a voler tramandare può essere un baratro vuoto allo stesso tempo inviolabile, uno spazio organizzato e gestito con leggi dove vivere separati per non condividere e dunque una ricaduta nell’idolatria…deorum manium iura sacra sunto…Non così la santità, una condizione di vita che Gesù condivide con l’uomo, che è fatta per l’uomo, un dono del Santo dei Santi.

Se Gesù che è il Figlio dell’uomo santifica perché è santo anch’io posso santificare perché è in Lui che questo accade, perché ha assunto l’umanità e nell’umanità il mondo intero santificandolo.

5 commenti:

  1. Grazie per la bella proposta di riflessione che mi fa ricordare che nel quotidiano non ci sono solo i miei punti di vista ma l'invito di andare con Gesù oltre per rendere presente l'amore come fonte di vita

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    1. Grazie per avere letto la mia meditazione. Saper che lo fate da 'mia' la rende 'nostra'. Buona domenica.

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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