venerdì 30 marzo 2012

Oggi qualche verso

Oggi qualche verso. Voglio accantonare le mie vedute sul mondo reale, per concedere spazio alla creatività che s'annuncia vivace.


Fine marzo, un sole che scalda e inganna.
Ho da poco smesso di far lezione: giovani
svogliati, filosofiche tirate, appelli lontani,

e che bello ora, qui, musica del silenzio
sotto e qualche timida rima senza screzio
s’insinua tra le grinze arrossate del vivere

con giusta rabbia, poiché can che abbaia
Studio il mondo attorno, un’ombra di noia
vela stanchezza morale e che importa dire

per adesso, se non trovo peana d’impegno civile:
affonda lo stivale, lento inesorabile vile…

Non sono mai vissuto con senso di patria,
sangue e suolo, lingue dei padri io che crocido
tra domestiche mura una koinè di pianura,

una broda di novarese ed altro volgare  eloquio.
Mi sento umano spurio e di confine estremo,
il diletto del precario stare, in limine conviene,

poi l’attesa…Fuori è bello, luce del balcone
dove i butti del glicine avvinto alla ringhiera
ottengono il mio spirito indagatore.

Ho figli da crescere! Rinnova la nenia del dovere
dopo l’audace singulto della poetica franchigia.

giovedì 29 marzo 2012

Monti, Nikkei ed il sake...

Sempre le solite notizie radio mattutine. Sempre la stessa ora e lo stesso tragitto (dovrei dire lo stesso figlio adolescente ed incallito). Afferro qualche brandello del discorso tenuto da Monti al centro Nikkei, terra di samurai, ma a lui che importa, tanto avrebbe gettato il bushido nel fuoco.
Un delirio di ovvietà! E pensare che sulle sue elucubrazioni c'ha pure stampato una brochure di 38 pagine. Mi sento una cavia da laboratorio, penso. Strategie, sistemi, risanamento fiscale, tutto sperimentato sulla pellaccia dei cittadini, ma non tutti, è ovvio.
Per non cedere allo schifo ed al vomito (ho ingollato un veloce caffè), mi dico: "Per cantare tutte queste fregnacce si sarà scolato qualche tokkuri di sake di troppo!"
Quanta retorica buttata alle ortiche. Almeno Cicerone, quando intonava le sue filippiche, si faceva sostenere da qualche bravo musicista per meglio colorare di pathos le parole, ma qui...qui la minestra è la stessa e ormai è rancida!

ABC. Loro cosa fanno? In mancanza del sake si tracanneranno qualcosa d'altro, spero, altrimenti dovrei rimpiangere la chiusura dei manicomi (a Novara ce ne era uno con chiesa annessa, architettonicamente rilevante). Da brilli si tratta meglio di elezioni anticipate, brogli ed imbrogli, riforme della politica e dei parlamenti, (chissà chi faranno fuori?). Fiumi di parole...era anche una canzone sanremese, tra l'altro.
Bersani e Casini si caleranno qualche buona bottiglia di lambrusco facendosi immortalare per Twitter. Alfano? Mah, Agrigento...un paio di bottiglie di syrah o grecanico, c'è pure una bella strada del vino (io rimpiango quella che da Bolzano sale verso Appiano ed oltre, ma la denominazione è tedesca e a qualcuno potrebbe far dispiacere!). Spero per lui, Alfano, anche se...oddio, quella sua terra d'origine era la Magna Grecia, la terra di Empedocle!!! Troppa cultura.
Tranquilli, per loro rimane solo l'aggettivo Magna trasformato in un imperativo matriciano: magna, magnamo! Non voi non dovete magnà (a noi).

Che sbadato, ho svelato l'acronimo!

Niente paura, sono figuri da abbecedario e pallottolliere, considerato quello che sanno fare a nostro danno!

mercoledì 28 marzo 2012

Un momento...

Ho appena terminato di scrivere,
non so ancora come, ma è capitato:
una parola tira l'altra, ricordare,
voglia di raccontare, e poi sospirare
nel tempo ormai giudicato passato.

Un bicchiere, di vino, alla fine,
fresco di frigo, aperitivo,
prima di venirti a prendere,
una corsa, sono in ritardo,
ho rotto il silenzio narrativo,
sono andato al largo per gettare
le reti della santa ispirazione.

Ho ceduto, dopo tempo, al mio duende. O spirito del narrare. Non so perchè quest'imbarazzo spocchioso. Perchè non essere entrmbi senza scadere nella doppiezza: poeta e scrittore (senza troppe pretese). Certo, rivestire i panni del rimatore accattiva e non poco (mio figlio direbbe "spacca").
Del duende mi parlò per primo il mio vecchio professore di latino, l'insegnante dal quale riparai da universitario per districare alcune difficoltà con delle traduzioni da Orazio. Lui lesse qualcosa di mio, in illo tempore, "robe" acerbe, come le consideravo. Mi disse: "Giovanotto, hai della stoffa! Hai il duende, come dicono gli spagnoli!"
Da allora quest'affermazione, ogni tanto riemerge, come accade in questi giorni.
Duende, poesia, scrittura, filosofia (con un po di teologia)...poi, qualche ora fa, prima di buttare giù un veloce racconto (linko me stesso:"Non mi guardare..."), m'imbatto in uno scritto di Garcia Lorca  proprio di approfondimento sul duende. Interessante e da leggere (altro link:Il duende: teoria e gioco).

Se lo spirito è un dono, occorre imparare a lasciarlo scorrere senza barriere, ad esserne posseduti. Dopo verrà la consapevolezza della ricapitolazione!

martedì 27 marzo 2012

Ancora una segnalazione in memoria di Antonio Tabucchi

Segnalo un ottimo articolo contenente una lettera firmata da Antonio Tabucchi ed indirizzata all'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi su antifascismo e 25 aprile. Da leggere assolutamente, visto i rigurgiti pseudo autoritari che sempre più stanno ribollendo.

http://cedocsv.blogspot.it/2012/03/antonio-tabucchi-lantifascismo-e-un.html

Far circolare le idee è vitale, se desideriamo sviluppare un senso critico oggettivo.

Buona lettura.

Sguardi sul mondo reale

Sono in un momento di pausa (una volta le chiamavamo "ore buche", ma da quando la scuola è un'azienda sotto commissariamento, tutto è cambiato per cambiar nulla). Anche se per mezz'ora, trovo rifugio nel mio studio e mi concedo, assieme ad un caffè lungo e forte, qualche riflessione.

Tra Monti e Tremonti che tempo che fa...


Mi accompagna questo verso, forse l'inizio di una nenia, anche se gli orizzonti che ci attendono sono tutt'altro che  limpidi e la ninna nanna piuttosto che una berceuse, un de profundis tetro.
Mentre accompagnavo mio figlio a scuola, le notizie commentate in sottofondo radio mi hanno acceso pensieri torvi. Monti che minaccia di chiudere bottega se la nazione non sarà pronta (a cosa, al nuovo clistere?). Il trio Lescano (meglio tacer di loro), che già si frega le mani e qualcuno blatera di elezioni in ottobre...sarà un ottobre rosso (per i conti che salteranno)? Per  la seconda Grecia che rischiamo di essere? Per l'ecatombe sociale che si prospetta?

Tra Monti e Tremonti che tempo che fa?
morir di pensione che male può dar?


Altre nuove. Prelievi più pesanti in busta paga...le fetecchiose addizionali regionali e comunali (le mie, assieme ad ICI e TARSU, vanno a pagare stipendi ad assessori, sindaco e vice: 1.500 euro di media ciascuno), il resto? Il nostro genio li ha sperperati in un sistema di telecamere in barba a scuole fatiscenti (col caldo insolito, abbiamo ancora il riscaldamento a tutto regime e nessuno si è preoccupato di spegnere per migliorare le condizioni ambientali critiche), strade groviera...


Tra Monti e Tremonti che tempo che fa?
morir di pensione che male può dar?
Raccoglier banane e quel che farem
e l'uso adeguato, anche questo saprem...


Mi fermo. E' quasi ora del rientro. Due ore di lezione, qualche genitore da ricevere. Unica consolazione: so far bene il mio mestiere, da come mi dicono.
Chissà perchè, allora, ho inviato ad un cugino svizzero, il mio curriculum vitae. I miei titoli, scopro, hanno valore, magari...se andrà male ho parenti anche in Francia...

Questo è il mondo reale, per noi, purtroppo, ed è quello che consegneremo ai nostri figli. L'unica cosa che so, e che questi loschi figuri io non li ho votati.
Viva la libertà (di parole, finché ci sarà)!
Buona giornata.






lunedì 26 marzo 2012

Due segnalazioni (in memoriam)

Antonio Tabucchi (immagine dal web)
Segnalo due post interessanti dove si scrive in maniera oggettiva in margine alla scomparsa di Antonio Tabucchi:

http://brunocorino.blogspot.it/2012/03/antonio-tabucchi-il-mito-nullo-del.html

http://cedocsv.blogspot.it/2012/03/ho-pena-delle-stelle-ricordo-di-antonio.html

Si tratta di due prospettive differenti, ma illuminanti, sopratutto il primo, sul livello di guardia che la libertà di fare cultura in questo nostro paese si sta raggiungendo.
Da giorni mi dilungo sulla necessità di fare della letteratura onesta (Saba scriveva "poesia onesta"), oltre che attorno alla questione dell'impegno intellettuale in merito al presente. Sono contributi letti nella marea oceanica del web. Sono articoli che non concedono alla retorica e rinunciano al solito compianto "strangosciato".

Buona lettura.

domenica 25 marzo 2012

Vita (e forse morte) di Virgilio Havock

Questa mattina. navigando a zonzo, ho incontrato un blog interessante dove, come al solito e per me, si fa poesia (tonio rasputin). Ho contattato l'autore chiedendo ragguagli su come poter acquistare il suo libro. Sarà una cosa strana, ma ho sempre fame di rime ed affini. Ci siamo scambiati i contatti e lui, dopo una visita alle mie due pagine web miei, nella mail inviatami, mi pone la domanda cruciale: "Perchè due blog?"
Quesito più che legittima. Lo devo ringraziare, anzi. E' stato sufficiente un semplice interrogativo per scatenare una serie di considerazioni. Sul subito mi sono proposto: celebrerò oggi stesso le esequie di Virgilio Havock. Sotterrerò il blog con un semplice clic e via, trasferiti i racconti pubblicati su quelle pagine che ho sempre considerato il mio blog principale. Ma...

Ma non è cosi facile come sembra, malgrado le meraviglie tecnologiche, condannare a morte un alter ego. Forse lo stesso per una donna senhal (che ho avuto da adolescente, quando, chissà per quale romantica passione, la donna amata si chiamava Eleonora e tutto quello che all'epoca scrissi, venne scritto per lei, anche se inesistente fuori dalla mia immaginazione, ma prototipo della donna perfetta e ideale).

Virgilio Havock...un nome ed un programma, dato che la maschera nasce dalla fusione di due persone reali: un wrestler folle e sanguinario, Danny Havoc, ed un compagno di classe di mio figlio alla scuola secondaria del quale taccio il nome, ma svelo le iniziali C.V.S. (nulla a che vedere con associazioni caritatevoli e varie). Due storie diverse elaborate dal medium immaginativo del mio ragazzo, impallinato per il wrestling estremo nonché evocatore delle imprese del secondo, giovane sessuofobo in erba e scatenato bullo presso i mitici "Salesiani" di Novara.

Fernando Pessoa (da Wikipedia)
Condannare Virgilio Havock all'oblio? Assieme a lui dovrei condannarne altri, se ben mi fermo a considerare. Altri che infoltiscono la schiera dei miei alter ego passati e presenti, dato che per i futuri non posso ancora dir nulla di preciso e qualcuno è già in gestazione. Sarebbe una strage! Inoltre, se ben osservo, un po mi fa paura una decisione del genere, quasi fosse il tragico progetto estremo di un suicidio (intellettuale, s'intende).

Credo che Pessoa visse analoghe tribolazioni, con la gestione della sua "sola moltitudine". Da parte mia mi accontento di una duende...mi fermo. Pochi attimi fa ho appreso della morte, a Lisbona, di Antonio Tabucchi. La mia conoscenza di Pessoa la devo a lui ed ai suoi romanzi e racconti.

Non so, ma vorrei che tutti i miei 54 lettori fissi del blog Virgilio Havock racconta trovassero "consolazione" nell'altro mio spazio web (l'infinito essere), dove smaschererò la duplicità, doppiezza, forse triplicità (triplezza?) o più, di quanto mi porto dentro.

Un saluto a Pessoa ed al suo miglior conoscitore, Antonio Tabucchi. Per lo meno loro restano e noi passiamo (rischiamo di passare!).

Pensieri domenicali

Mi sento strano. Smarrito. Un'insoddisfazione sottile percorre ogni mio senso per scendere nel profondo, poi.
Fuori è domenica. Il sole scalda l'aria ed il silenzio che pervade attorno è quello della festa. Ma questo cosa dovrebbe significare?
Ho dedicato non poco tempo alla scrittura, durante la settimana conclusa appena una manciata di ore fa, e cosa ho ottenuto? Qualche commento interessante sul blog, certo, spunti per riflettere ed approfondire. Ancora materia grezza da sgrossare attraverso il lavorio intellettuale. Un solo pensiero trattengo (e non poco mi turba): il deserto culturale che troppi editori e sedicenti tali, stanno imponendo a chi desidera fare della letteratura seria contributi monetari, il labirinto dell'autopubblicazione...potrei continuare, ma...
Sento dello sconforto, certo. Accarezzo la tentazione di lasciare perdere (di nuovo, dato che già ho intrapreso questa scomoda decisione, qualche anno indietro) ogni velleità artistica, e poi...

Sono solo i soliti pensieri domenicali, mi dico, forse mettendosi al lavoro se ne andranno così come sono venuti. Chissà che la luce di questo giorno non porti il barlume di un progetto nel quale credere.

sabato 24 marzo 2012

Ancora una fatica...

(in auto e a memoria, lunedì 19 marzo)

Che terribile perdita di tempo, solo noia,
una smisurata seccatura che sbatacchia
nei momenti sprecati e una bile alla feccia,
impedito in ferri malvagi, accodato
in gorghi imprevisti, tutto per quattro
misere commissioni da sbrigare distratto.
Sangue alla testa, allora farnetico, stordito,
di soluzione finale ove affondare il creato.

Un tempo, troppo passato, tessevo rime
amorose, versi banali, poetiche visioni,
singolar tenzoni. Oggi, nella lente di stizza
che sbrana intorno,  al fuoco darei il certame
antico, quelle patite zoppicanti prove
di menestrelli ed ingenui trastulli, trovatori
e trovieri, donne lontane se non bastarde
amanti d’ingenua fattura ed egual bruttura.

Poi cos’accade? Un fremito, l’attimo eterno
assolvendo la musica zittita dalla volgarità
soffocante: rischierei di confondere
il tuo volto, se non facessi memoria al tatto
della tua pelle, quando manca l’aggancio
degli sguardi. Dunque mi fermo Socrate
sotto il sole d’Atene, pronto al simposio,
lo stesso gesto rappreso nel tempo e penso.

Penso a tutto lo spreco di vita, allo sperpero,
al tormento: amate sudate carte, mio conforto,
per me, straniero tra gentili genti, barbaro
parlare se non singulto - giovin signore parto -
umano poco umano quando blatero duro
la funesta fine d’ogni carne e amplesso,
fesso che sono, non m’accorgo nemmeno
d’esser sceso dal flusso, e di goder sereno.

venerdì 23 marzo 2012

Poeti e/o...

Fabrizio de Andrè (immagine dal web)


"Benedetto Croce diceva che fino ai diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quell'età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. Allora, io mi sono prudentemente rifugiato nella canzone che, in quanto forma d'arte mista, mi consente scappatoie non indifferenti, laddove manca l'esuberanza creativa."

Apro con un aforisma del grande Fabrizio de Andrè questa mia riflessione. Lo faccio con una punta di amarezza, poiché me lo chiedo sempre: sono un poeta o un cretino? Insomma: mi illudo d'avere capacità oppure posseggo veramente qualche briciola di dote da sfruttare?
Prima una considerazione. Il web è invaso da poesie. Ogni giorno ne vengono pubblicate a migliaia, senza esagerare. Si va dalle citazioni di grandi autori a quelle personali. Si spazia dal genere romantico bucolico a quello incazzato e di ricerca (per modo di dire). Dalle rime strappalacrime, alle nenie alla baci perugina. Si può leggere di tutto e di più, fino alla stucchevolezza. Purtroppo.
Cosa sta accadendo? Tutti siamo poeti?
Un certo cipiglio snobistico mi porta a rispondere di no, anche perchè tra i molti che ci provano (e qualche volta azzaccano), di versi brutti se ne leggono veramente tanti. D'accordo che questo era anche il cruccio di Pasolini, il rischio di scrivere brutti versi, ma la misura si colma presto. Tenendo conto che anche tra le rime dei grandi si trovano prove stentate e guazzabugli poetici, prima o poi scatta l'estro creativo e s'imbocca la strada della poesia buona ed onesta rischiando di comporre anche qualche capolavoro, ma questo non accade mai per caso! Ed a furia di tentare, qualcuno bravo lo si incontra pure.
Sono diventato un lettore di poesie vorace ed incontentabile, da qualche mese ad oggi. Posso ammettere di averne lette veramente tante e di leggerle ancora e sempre con curiosità. E' una passione che mi intriga, lo confesso, sopratutto quando le poesie degli altri mi aiutano a scrivere le mie, occupazione per la quale sto non poco trascurando la prosa ed il mio secondo blog (virgiliohavock.blogspot.it) dove pubblico (pubblicavo) racconti, in prevalenza.
Premetto: la poesia, da quanto ne ho potuto capire, è una cosa seria, e come tale richiede dedizione e studio. So bene che affermando questo andrò ad urtare tutti coloro che fanno della poesia un gesto spontaneo, un capriccio sentimentale e/o umorale. Un gesto. Nessun poeta autentico ha mai trascurato le poesie degli altri, anzi, qualcuno di questi (Saba, Montale, Pasolini...) sono stati anche dei finissimi critici. Insomma: fare poesia è un lavoro (in barba al motto latino - Orazio - carmina non da panem) che procura non pochi crucci, oltre a qualche soddisfazione. Senza dimenticare lo studio (Foscolo, Leopardi...).
Dove voglio arrivare? Alla disillusione. Scusate, poiché di questa bella e sana occupazione, molti fanno ragione di guadagno illudendo non pochi aspiranti poeti di essere chissà quale grande promessa del parnaso italiano. Ci sono troppi pseudo editori che chiedono ingenti somme come contributo alla pubblicazione promettendo il mondo, ma abbandonando chiunque a se stesso al momento della distribuzione del libro. Non parliamo dei premi, poi...
Per concludere. Da quando navigo per il web, sono pochi i luoghi dove il lavoro sulla poesia è serio ed impegnato. Pochi sono gli editori che mettono passione nel loro lavoro di promozione. Alcuni li ho conosciuti di persona, grazie al mio lavoro di "poeta". Ambienti dove si respira onestà ed impegno, dove non si lesinano consigli (la rivista Atelier, blog quali La poesia e lo Spirito, Moltinpoesia...).
Il resto? Un universo mondo di circoli e luoghi vari dove certo, si fa letteratura, ma dove manca l'obbiettività della critica costruttiva e super partes. Ormai sembra di moda parlarsi addosso e credere in un'editoria dove,  per essere nominato tra gli autori, basta aver partecipato all'Isola dei famosi. Cos'era la poesia per gli antichi? Un fare indicante, un dire laddove la ragione non osa, un impegno civile.
Si può far poesia in una realtà come la nostra? Si può comporre versi in tempo di crisi?
Si, senza cadere nelle trappole del conformismo e lavorando con dedizione, rinunciando al marpionismo intellettualoide.

Non ho dato seguito alla vexata quaestio? Sono un poeta o un cretino?

A voi la risposta!

mercoledì 21 marzo 2012

Il pomeriggio del poeta (di primavera)

Quinto Orazio Flacco (immagine dal web)
M'appoggio alla ringhiera del balcone. Il sole è tiepido ed attorno il silenzio sprofonda in una sensazione di equilibrio. Una calma insolita, data la frenesia che scorre di qui a qualche centinaio di passi.
Provo quanto è dolce lasciarsi andare al nulla di questi istanti. La mattinata è ormai preda dei ricordi assieme alla scuola ed agli schiamazzi dell'intervallo passato di assistenza al secondo piano. Con alcuni degli alunni ho giocato un seme di complicità per stemperare la serietà degli argomenti trattati, ed è stato bene così. Loro ancora non sanno...ed io? Io ho imboccato il sentiero meno battuto, nella radura, e la fatica dell'esser diversi (senza lode), pesa sulle spalle. Chissà se ci sarà luce sufficiente per decifrare i segni lasciati da chi m'ha preceduto?
Da ora in poi tutte le ore, prima della sera, mi appartengono e se troverò la concentrazione adeguata lavorerò sulle amate carte. Non oso parlare d'ispirazione, troppo aulico questo pensiero per trattenerlo. Lavorerò, ecco, magari mettendoci meno poesia e più attitudine prosaica. Pregusto il mio studio. Il profumo dei libri, la penombra avvolgente, la pace...magari fuori, nel cortile, mia figlia che gioca serena (ci sarà tempo la sera, per compiti e consegne varie).
Ha un gusto l'otium come lo intendevano i latini (qualcosa avevano capito della vita, malgrado tutto). Rammento Orazio, il Falerno denso e scuro stemperato con acqua e miele, il Soratte alto di candida neve, la bella Leuconoe dal morbido corpo, l'amore che chiama...le ore date allo studio ora lontane, il mio vecchio maestro (professore), latinista provetto, ma gran farfugliatore d'idee,   ebbro di critica marxista e non (mi fece scoprire Luciano Canfora), amante incallito d'una moglie sottomessa...basta: oggi è la giornata mondiale dedicata alla poesia? E' vero. Allora, cosa opportuna è che tacciano le mie rime per quelle altrui.
Buon pomeriggio!
Questa la mia offerta ai sacri altari (non ho ancora sacrificato la penna, o il pc).

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati,
seu plures hiemes, seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

Non chiederti – non è lecito saperlo – a me, a te
quale sorte abbian dato gli dèi, e non domandarlo agli astri,
o Leuconoe; al meglio sopporta quel che sarà:
se tanti inverni Giove ancor ti conceda
o ultimo questo che contro gli scogli stanca le onde
del mare Tirreno. Sii saggia, mesci il vino
– breve è la vita – rinuncia a speranze lontane. Parliamo
e fugge il tempo geloso: carpe diem, non pensare a domani.






lunedì 19 marzo 2012

Variazioni sul tema

Oggi è stata dura, con la poesia, ma alla fine, dopo una singolar tenzone, sulla struttura di un mio vecchio componimento, è nata questa variazione che, oltre ai temi ben mitigati, dell'originale nulla possiede.

Basta! Mi rilascio nell’alito del mondo
senza fissi orizzonti, testardo toccando
nel tetro carcame, leva sulla cagnara pesta.
Capita, talora, d’incalzare il tribolante labaro 
del caso così di carne e sangue far festa,
per perire nello scempio, sordo imprecando.
Quale contrappasso, muto fiacco ed amaro,
troppo si ciarla d’equilibrio e coscienza,
sragionando d’amore in pazzia e presenza.




venerdì 16 marzo 2012

Perchè maltrattare i poeti?

E' un pensiero che mi passa durante questi ultimi giorni. Un tormento, oserei affermare, come sono un tormento tutte quelle domande che assumo i caratteri dell'originalità.
Dopo qualche mese di abbandono sono tornato a studiare nuovamente le "Rime" di Dante nella bella e storica edizione curata da Gianfranco Contini e più volte riedita da Einaudi nella collana Classici Italiani Annotati. Libri straordinari, perfetti, accurati...da tagliere con estrema attenzione e pazienza come si faceva una volta.
La lettura non è facile, ma per me rappresentano cibo per lo spirito e materia per l'ingegno, insomma: fonte di ispirazione (senza essere retorico!).
La questione è un'altra e non ha nulla a che vedere con i testi, sempre impegnativi e di non immediata comprensione, ma con l'apparato critico, preciso, chiaro ed erudito. Perchè? 
Perchè, nonostante la profondità filologica della critica offerta, sembra mancare sempre un qualcosa e questo nel caso di alcuni testi in particolar maniera, quelli "maltrattati" appunto e, paradossalmente, non da Contini il quale, lascia aperte delle finestre evitando di andare a dibattere su argomenti ostici e complessi di squisito carattere filosofico, spirituale ed umano.
Chiariamo una cosa: maltrattati da chi? Dalla letture scolastiche e non, quelle che vogliono sempre andare ad incasellare un autore in una comoda cerchia, movimento o gruppo. Dalla mania di affibbiare a ciascuno un "ismo" di appartenenza.

Ed ora veniamo al testo, lo strafamoso sonetto "Guido i' vorrei che tu, Lapo ed io...". L'ho letto e riletto. Smontato e rimontato e mi sono rimaste queste domande. Prima il testo, però.

Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch'ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse 'l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch'è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d'amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i' credo che saremmo noi. 

In questo sonetto si parla di un'amicizia non ordinaria, di un consesso di persone che comunicano tra loro usando la poesia come mezzo. Sono tanti i sonetti inviati ad altri, così come altrettanti quelli restituiti in risposta a formare lunghe catene poetiche che solo apparentemente sembrano accennare alle stesse tematiche.
Che genere di amicizia condivisero Dante, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Cino da Pistoia, Dante da Majano...perchè quest'occupazione, solo per il fatto che erano tutti più o meno benestanti e non sapevano come occupare il tempo? Un gruppo di mammoni innamorati delle altrui donne?
E se fossi mo davanti ad un linguaggio cifrato ingegnosamente costruito?
Incantesimi, vascelli (navi, barche...arche, governate senza remi e vele), fortunali (cataclismi, finis mundi, diluvio),  voler vostro e mio, un intento comune, un progetto, talento (scopo).
Potrei continuare, ma scelgo di offrire delle chiavi. Se i poeti sono soliti dire, ebbene: qui c'è molto di più di un semplice esercizio poetico nobile e borghese. Se il poeta indica (occupazione che identifica le divinità greche), allora...non voglio stupire nessuno, se non restituire alla poesia quella cifra umana e sociale che le compete evitando di maltrattarla. Qui, e non solo, siamo davanti ad esempi di grande impegno insegnando come l'uomo s'etterna, ovvero: come potrebbe crescere, evolvere interiormente verso l'individuazione.

Il sonetto in questione, come altri ed anche ballate e canzoni, tratteggia una mappa che vuol rivelare un percorso iniziatico ben definito: alla ricerca d'Amore. Un Amore che nulla ha di antiquariato romantico, ma che possiede dei custodi che impediscono l'accesso al luogo del  profondo ai non degni.
Poeta in tedesco si dice dichter, poesia dichtung, e non a caso.

Mi fa ridere quando definiamo Foscolo un materialista, Leopardi un pessimista dimenticando quanto questi uomini, magari meno di Dante, seppero cantare la profondità dello Spirito umano trascendendo i limiti della materia e della ragione stessa. Dante sembra essere andato oltre, ma nessuno, tranne la sua poesia, potrà indicarcelo.
Allora, smettiamola di maltrattare i poeti, quelli veri, per favore, quando loro non fanno che indicare un cammino che ad altro non conduce se non alla salvezza.

Continuerò!!!


mercoledì 14 marzo 2012

...ecco...

Ecco, silenzio di morte, notte sospesa
di presagi, ho smarrito la bava del sonno
inseguendo il dire atro in metrica offesa:
improvviso, da uno squarcio, paure che vanno,
un mare amoroso di sguincio  nell’intrico
di selva nemica. Lo spirito scioglie passione
volando alle risacche lente, e così dico
smarrendo ogni diruta presunzione,
quanto è densa la dolcezza dell’attesa.

lunedì 12 marzo 2012

Così nel mio parlar voglio esser aspro...

Un esperimento poetico, certo. Un guardare al passato senza fargli troppo il verso. Poi nasce la musica da dentro in una ricerca che non conosce frontiere. Si fanno sempre interessanti scoperte, tornando alle fonti.
Un pretesto, certo, anche se, in questi giorni ho ripreso in mano le Rime dantesche nella storica edizione curata da Gianfranco Contini. Questo per cercare lumi per rischiarar le tenebre.

                              Non so di quanto come e dove scritto
nel delirio fritto di passionali lotte
spese in maniacali singolar tenzoni, sfotte
la suburra ribollente e storta in fiscali
miasmi di tradita vita. Un’ansia basita
m’impone d’appender l’arco nel trafitto
cielo: lacrime donna impietrita d’anni
e d’amore, solo al cuore, d’ora in poi,
risponderanno all’eco i dolenti suoni.






sabato 10 marzo 2012

Giardinaggio e poesia (un elzeviro)

Immagine dal Web

Per uno come me che passa ore tra libri e cartacce varie (mie e non solo, quando ti ritrovi pacchi di verifiche da correggere umide d'adolescenziali gemiti), scendere in giardino e lavorare non è proprio una consuetudine. Quando accade è un miracolo, il brillare di un attimo.
Terra e poesia? Terra e poesia, appunto. La terra, per estensione il giardino (Eden e derivati) rappresenta la dimensione del lavoro per eccellenza, la cura applicata al concreto. L'impegno dell'origine (quando ancora il tempo sembrava scorrere lento), ancorato a quell'idea di custodia che intriga sempre così tanto.
Poi vennero i greci con la loro idea di poiein, inaugurando l'era del produrre, suggerendo che la poesia non è affatto un'occupazione per educande, ma un serio impegno, un faticare continuo alla ricerca di quelle risposte che così tanto ancora oggi scuotono. Esiodo fu in primis pastore poi poeta delle origini mitiche, laddove cantò del tremendo impasto di carne, sangue, viscere ed elementi che portò dal caos alla generazione degli dei. Leggere la Teogonia è come tentare di sfoltire un cespuglio cisposo ed irto di spine cresciuto troppo. Quando il groviglio cede all'educazione imposto dalla mano umana, è allora che scopri le gemme spingere tenere propaggini di primavera. Anche il poeta deve sforbiciare inutili fronzoli linguistici (e con quale immane fatica) o riconoscere la scarna armonia dei versi intessuti.
Come corro! Ieri ho smosso l'universo mondo ed oggi rimangono cumuli di rami foglie ed altro da smaltire.
Non l'ho scritto sopra? Prendersi cura: anche questo è fare poesia, produrre.

venerdì 9 marzo 2012

Le poesie degli altri

Non è per niente facile dedicare attenzione alle poesie scritte dagli altri. Per me, anche se le leggo, rimane un difficile impegno dato che il confronto con il mio lavoro di ricerca poetico rimane uno scoglio inevitabile. Bando alle chiacchiere! La chiacchiera è sempre un modo inautentico di affrontare la vita e la poesia non ammette chiacchiere Esige serietà ed impegno.
Non so ancora se questi interventi sul blog che dedicherò agli altrui lavori poetici diventeranno un appuntamento fisso. Vedremo, dico, sospendendo ogni possibile previsione. Comunque...
...Di Enrico Maria Di Palma conosco il blog (cawarfidae.blogspot.com) .Quello attuale, almeno. Un blog interessante, inconsueto. Un blog dove non si chiacchiera troppo, e questo già mi piace. Uno spazio dove si scrive sperimentando. Questo mi piace più ancora. Invito alla lettura di alcuni suoi arguti post, eruditi quanto basta, non comuni nelle scelte linguistiche e nell'uso del latino (che non appare come uno stucchevole anacronismo, ma ad uso di richiamo alla responsabilità intellettuale). Già il nome del blog, uno nome longobardo, dotto e ricercato, avverte sul contenuto, serio anche se presentato con la necessaria ironia e canzonatura.
Veniamo al libro in questione.
"Dalla parte di Huàscar", CFR Edizioni. Il titolo è un enigma. Una colta provocazione. Huàscar è un Qhapaq, un imperatore inca, dallo storia consegnatoci in maniera ambigua e frammentaria. Quanto sappiamo di certo è che si oppose al ben più famoso Atahuallpa, combattendo una lunga guerra civile. Non possiamo definirlo un soccombente, nemmeno un perdente. Forse un oppositore. Un uomo di carne e sangue e che fece scempio. Da qui l'intonazione della silloge di Di Palma.
Da leggere, devo ammettere, almeno da parte - appunto - di chi ama la poesia e la sua lettura. Testi interessanti, Forti di una musicalità petrosa, ricca di rime interne, assonanze, ossimori. Un verseggiare spigoloso per una musica dura. Un'accorta ricerca linguistica che, dopo il componimento introduttivo, quasi un programma poetico, viene elaborata fino al parossismo espressivo.
Belli i primi versi, resi tipograficamente in corsivo. Mi ha ricordato "In limine" di Montale, anche se poi il ritmo è mutato in una vertigine di variazioni.

Mi chiedi perché è serrato, chiuso,
questo cercare nostro
e in quale luogo tetro vadano a finire
le mie parole morte
e perché non spalanco le porte
di questi segreti
e se sono sorti
da un qualche finto porto sepolto.

Si narra di un cercare chiuso, stretto, un trobar clus di sapore antiquario. Si accenna a porti sepolti (Ungaretti), citando la grande tradizione letteraria italiana facendo notare come il lavoro poetico non può rimanere confinato al guizzo emozionale dell'attimo, smunto nella stucchevolezza, ma deve poggiare sulle solide basi di una ruminazione filologica sempre meno banale e scolastica.
Tra il materiale presentato, i testi che mi hanno meno convinto, sono i due frammenti di poemetto presentati in chiusura. Magari ancora acerbi, torsi da sgrossare. A mio giudizio, non all'altezza di quanto proposto prima.
Mi fermo. lascio a chi vorrà leggere.

giovedì 8 marzo 2012

Donne che avete intelletto d'amore...

Immagine dal Web


Mi trovo in difficoltà e non è un paradosso. Oggi è un giorno che dovrebbe ricordare un avvenimento importante, speciale, eppure...quanta banalità! No. Non voglio fare il saccente di turno, quello che si vuole sempre distinguere dal coro. 
Lo ripeto, mi trovo in seria difficoltà. Non oso scrivere versi inutili, dato che anche ora, dopo la prova della scrittura non vengono affatto e rischierei di ricorrere all'artificio (ingegnoso) del trobar clus, rinunciando alla sua bellezza, alla profondità dell'amour de lòng, all'astrazione metafisica, ma anche alla corporeità sublime che solo i poeti alti sanno cantare senza cadere nella sconvenienza.

Scelgo un verso solo, e di Dante. Non a caso ricorro al Fedele d'Amore. Un verso che mi ha sempre intrigato, dato che parla di intelligenza e di riflesso, di ragione. Per comprendere dobbiamo abbandonare ogni lettura scolastica o riduttiva di quanto intendiamo per intelletto.
Cominciamo con il conferire all'intelletto l'idea di sapienza, di gusto profondo della vita, di amore per l'esistenza. Proseguiamo attingendo al latino, origine etimologica del vocabolo intelletto.
La radice è da intellectus, a sua volta dedotto dal verbo intelligere, intus legere, ovvero: leggere dentro, leggere da dentro. Giusto accennare all'umana facoltà di elaborare pensieri, ma il leggere dentro (diverso dal leggere da dentro), avvicina all'idea di leggere nell'essenzialità, indicando la capacità di cogliere l'essenziale, dunque, l'essenza delle cose: l'essere oltre l'ente (perdono).

Allora? La donna è la creatura che riesce a leggere dentro cogliendo l'essenza delle cose ovvero, quello che realmente conta. Insomma: la donna come genere in grado di vivere la praticità dell'esistenza in tutta la sua gettatezza. 
Avere intelletto d'amore, dunque, è il saper conferire all'amore quello spessore umano che solo da dentro prende forma attraverso un'esperienza profonda e cosciente, sublimata nella libertà del darsi. Le donne, nella consapevolezza della loro condizione femminile sanno essere questo. Sanno dare significato all'amore come forza, energia dirompente di vita pur rimanendo con i piedi per terra.

Mi fermo. Lascio il "da dentro" ad un'altra occasione accennando solamente al fatto che l'interiorità, la spiritualità, da dentro, vivificano il fuori, quando maturate nel divenire della ricerca.

Per finire e come augurio (per pensare).
Amara come la morte, la donna (Ecclesiaste/Qoèlet)? Certo, perché mi sbatte in faccia ciò che non sono ricordandomi la morte della superficialità e delle contraddizioni.

Perché fu una donna la prima ad incontrare il Risorto?

Perché la Donna è tolta dalla costola dell'Uomo e non viene plasmata con terra e sputo come l'Adam?

Donne che avete intelletto, appunto, riscoprite la vostra dignità pretendendo uomini sempre meno stupidi e consapevoli del cammino ancora da fare ed insieme!

martedì 6 marzo 2012

...memento vitae...

La morte, quel tuo incubo del quale
spesso mi parli
                         – e ti s’avvampa forte
l’annoso orrore mentre dici il duro,
per te, timore che tutto s’annulli
auspicando che il nostro tempo sia
un infinito amarsi dato che t’ho
scelta per sempre perché tu hai scelto
me confidando in formule che l’Alto
vorrebbero disporre al bene -
la morte a questo decreta confine.
E per noi due che cosa trattiene
ogni fottuto giorno che si estingue
tra le stupide dispute di figli
rosi da bieche e tonte gelosie?
Se lo vogliamo il tutto e cos’altro?

domenica 4 marzo 2012

Buona domenica! (pensieri appesi)




Giorno strano la domenica. Questa in particolare: lenta, grigia, stanca nei pensieri e nell’immaginazione che già proietta a domani. Forse aveva proprio ragione Leopardi: diman tristezza e noia recan l’ore. Lui, come me, prediligeva il sabato, il preludio. Forse il meglio, quello che carichiamo di aspettative. E poi? Insomma, dopo la delusione di ogni aspettativa?

Poi rimane l’attimo che riesco a cogliere. Come quello appena andato, quando, con noia, ho cercato la luce in una lettura casuale (spesso faccio così, prendendo uno dei tanti libri sparsi per casa, quelli per i quali non senti rimproveri). Una poesia di Vittorio Sereni: Addio Lugano bella. Un eco rivolto al celebre canto anarchico, certo. Un eco che si sposa con l’adesso.
Sento in sottofondo le solite trasmissioni domenicali, oggi dedicate (giustamente) alla memoria di Lucio Dalla anche se la purezza della sua poesia viene macchiata dalle lacrime coccodrillesche di giornalisti ed affini.
Non so quanto sia autentico il dolore di Massimo Giletti, ragiono mentre scrivo. Lui si preoccupa per lo share, doma il pubblico e s’atteggia a nume tutelare decretando il tempo da dedicare alla pubblicità  oppure alle lacrime. 

Giorno strano, sì, la domenica. Giorno quando vorrei sempre fare chissà che cosa e mi ritrovo a fare niente dandomi all’insoddisfazione della sera, mentre l’imbrunire trascina con sé la tristezza di ore lasciate scorrere nel niente dell’inquietudine.
In certe occasioni, nulla può nemmeno la poesia (perché non sorge). Il peso uggioso della nebbia interiore ottunde ogni anelito (ed io ne ho sempre troppi).

Giorno quando si indugia a tavola più del dovuto e si cede alla tentazione di qualche grappa come ammazza caffè. Ah, i pranzi domenicali, quelli che sono dominio esclusivo di mamme e suocere. Quelli dove la cucina s’arroventa nella preparazione di cibi vari, anche se sempre nel rispetto della tradizione. Chissà! Amo la buona tavola, ma la domenica…

La cultura ebraica non diede mai nome al primo giorno dopo il sabato, la domenica, per l’appunto. E’ una costatazione esistenziale, naturalmente! 

sabato 3 marzo 2012

L'uomo folle e la sua lanterna accesa

Diogene - Dipinto attribuito a JHW Tischbein (fonte Wikipedia)
Un'immagine come punto di partenza. Qualche verso (mio) per concludere.
Diogene è l'esempio paradigmatico della ricerca. L'umano anelito all'assoluto, alla pienezza del niente. Nel tumulto di una folla vociante e caotica, l,'anziano sapiente si muove scrutando ovunque, con attenzione estrema. Cerca l'uomo, l'uomo nella baraonda del mercanteggiare. Cerca se stesso nello specchio degli altri bevendo fino alla feccia il calice dell'indifferenza e del pregiudizio.


Un cielo rappreso di pioggia ed io qui
ancora a contare di saper intessere peana
e poetiche trame: se questi cenci letterari
sono i presupposti, so fare veramente poco
o nulla (non oso dire il niente)…

…quando in alto le cose tutte non avevano
ancora nome e qui dabbasso regnava il caos…

Cosa aspetto in più dall’alto, ecco l’imbroglio!
Sotto, nell’infetto impero  del caso,
la necessità svigorisce le mie forze
spese ancora nell’ufficio d’offrire nome
alla selva avviluppata di corpi e sangue
che m’impedisce il percorso con catene
d’inerzia e abbandono…tu, però,
tu che con me annaspi nel mare magnum,
solo il prenderti per mano, pelle al tocco,
infrange cristalli di paura in lame di luce
cosicché amore odio vita morte alto basso
abbreviano negli elementi dei primordi
e finalmente non fiata il tumulto bellicoso,
sul campo quiete di tenebre annunciate
dal tramonto arrossato d’ingordo fuoco.

E dopo? Improvvisa la legge sul caso
a dettar pregiudizi, troppi nomi alle cose
nell’ordine principiato e imposto
senz’estasi e mistero e tantomeno
indizi sparsi al mondo, indicati e detti:
sarò ancora l’uomo folle che s’innamora?