mercoledì 29 febbraio 2012

Pianura (immagini)



Pianura. Scorre via, se cerchi di focalizzare lo sguardo su qualche particolare remoto. Sfugge, ma non l’orizzonte, lontano, sospeso su umidi vapori che aleggiano silenziosi.
Una lunga teoria di campi. Qualche albero alto sui rivoni dei fossi e la macchia delle intricate baragge che ritma l’alternarsi dello culture alle poche cascine sparse nel deserto.
Ho sempre amato questi paesaggi malgrado la monotonia ossessiva che unisce il ripetersi di stagioni propizie e no. Poi la nebbia d’inverno. Quella fitta e spessa sul viso. Un manto grigio d’ovatta che schiaccia a terra ogni pensiero. Un assoluto dove precipita ogni riferimento alla vita.
Si, ho sempre amato questi paesaggi feriti dall’uomo con lingue d’asfalto e lunghe linee ferrate. Strade, ecco, strade che non conducono mai da nessuna parte se non unire tra loro la teoria di piccoli paesi anonimi e frusti di anni, spesso ridotti a spettrali ruderi cadenti sotto le intemperie. Qualche chiesa abbandonata o chiusa col camposanto ridotto a sterpaglia, aperto sull’eterno dell’attesa. Certo, anche questa è pianura.
Oltre il consueto, l’oasi di qualche luogo dove l’umanità fiorisce nella sofferenza d’un quotidiano avvilito dalle circostanze.
Dopo, nuovamente deserto. Deserto e silenzio sospeso, quello triturante, quello che non ti lascia requie perché strugge e basta. Quello che ha un suo colore: il bianco mantello della neve.
Come si può raccontare la pianura se non succede mai niente?
E' proprio questo sconcerto, questa spaesatezza a suggerire la più alta poesia, poiché dove non accade che il nulla, la vicinanza col mistero schiude su possibilità inaudite. 
Sono allora i particolari a narrare l'universo mondo, il tutto. I correlativi oggettivi. Quelli che fanno unico il cantare di Montale, ritmato da lampioni, fossi e sterpi, schiocchi di merli. L'infinitesimale. Ogni particella o molecola, ogni aggregato atomico, quintessenziale. 
Impressioni ed emozioni. Lo Spirito, quello che aleggia sull'oceano primordiale sull'urlante mare magnum dell'esistere. L'essere è bel oltre. L'essere supera accogliendo nel suo infinito seno.
Cosa emoziona, in questi luoghi? L'assenza. La lontananza. Il rinvio continuo ad una linea d'orizzonte sfumata, sbiadita d'estate. Le vite consumate per ogni zolla dissodata ed ogni risaia gonfiata d'acqua.
Un tempo s'incontravano personaggi insoliti, attori ignari per un pubblico distratto quando non assente. Oggi, chi intesse memorie e storie?
L'artificio del consumismo ha stravolto anche queste dimensioni in aziende dove il fittizio ed il posticcio hanno tamponato le falle del tempo e dell'abbandono.

Dal riso al Rosa, prima, guardando l'immenso. Adesso qualche asettico surrogato. Le osterie, quelle vere, sono  chiuse da lustri dietro saracinesche rugginose. Non si mesce più quel vino dei colli poco lontani. Si parla troppo d'industria e l'industria a consumato l'umano e le sue dimensioni, nel fuoco del progresso.

Solo un Dio ci potrà salvare...

Per dovere di cronaca, le foto sono state scattate nei dintorni di Novara, nella pianura che digrada verso Vercelli. I luoghi delle risaie, certo. Poi nomi di paesi, luoghi: Gionzana, Ponzana, Casalbeltrame, Casalvolone, Pisnengo, Orfengo....














sabato 25 febbraio 2012

Per non dimenticare le emozioni

...capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi...emozioni...
(Lucio Battisti)



L’emozione dell’attimo, quella che stende perché
immune alle doppiezze della mente: questa emozione,
scandita da un cuore impazzito e dal fuoco che brucia
di vita e che ti getta nelle radure dell’essere, dove
le dita rosee dell’aurora indagano con pudore nel folto
indicando sentieri poco battuti sui quali autunni ed inverni
hanno scaricato l’ignavia del non voler scegliere…
questa l’emozione che vorrei narrare!



Non sono caduto nell'inghippo della contraddizione (tautologia?). Il pensiero è un universo regolato da dinamiche spesso avulse alla rigidezza con la quale siamo invitati a vivere la quotidianità. Questo accade, inoltre, perché della ragione ci ostiniamo a fornire sempre e solo un'immagine fredda e da laboratorio:in vitro (l'immagine che fa comodo) .

Quel capire tu non puoi mi ha sempre intrigato. Come? Ecco la vexata quaestio.

Cominciamo.
Come mettere in relazione emozioni e pensiero?
L'universo delle emozioni è una dimensione troppo spesso confinata nel limbo del privato, quando ancora esiste, visto la tendenza a voler conformare la vita delle persone ad un modello stereotipato di superficialità e banalità di chiara matrice populista (non popolare in quanto questa definizione possiede sempre una compromissione con culture e tradizioni che si vorrebbero estromettere dall'agone esistenziale per meglio uniformare, rinunciando alla ricchezza della diversità).
L'emozione è quella vibrazione profonda che mi getta nella vita. Un'energia, anche se impropriamente definita, in grado di rompere gli schemi della personalità precostituita (chiusure e rigidezze) per dare libero spazio all'individualità che si dovrebbe far crescere.
Mi rendo conto di essere già andato oltre i confini della consuetudine, ma desidero proseguire.
Generalmente, nei confronti delle emozioni nutriamo sempre una reverenziale paura. Lo affermo per esperienza personale e non sfruttando le comodità offerte dalla chiacchiera così come dal si pensa, si dice, mi piace, non mi piace. Lo affermo, dunque, sulla base fornitami dall'oggettività dell'esperienza, quella ricercata e sperimentata.
Che bello, allora, provare il gusto dell'essere portati fuori strada laddove solo le radure si aprono alla nostra visione ed i sentieri sono meno battuti. Certo, questo modo di scorgere la vita nella sua nudità evoca il pudore, la prudenza, senza nulla levare alla meraviglia della scoperta interiore.

Allora? Capire tu non puoi?
Una chiave per dischiudere (è sempre imprudente forzare sulle questioni). 
Capire, da càpere (latino), kaptèin (greco): parto dal greco: prendere. L'emozione non la posso capire nel senso che non la posso trattenere, prendendola, appropriandomene. La posso condividere, se ne sono in grado. Se l'emozione è vita, forza, Eros (seguendo i greci), non mi appartiene, come non mi appartiene l'Essere. Lo stare accanto all'Essere, nella consapevolezza di questo mistero, evoca quella meraviglia provocata e nutrita dalle emozioni.
Non ho chiuso il cerchio, assolutamente, ho solo cercato di districare il groviglio dei troppi pregiudizi che intoppano il comune modo di vedere.

Mi rendo conto di quanti echi letterari e filosofici ho tirato in gioco. Altrettanti sono i grazie.
A Frost, per le indicazioni pionieristiche (seguire sempre sentieri meno battuti!). 
Martin Heidegger, camminatore lungo sentieri interrotti e scopritore di radure. 
Un chansonnier: Lucio Battisti, per tutte le emozioni che ancora ci aiuta ad evocare (bello mettere assieme filosofi, cantanti e poeti!), evitando di guidare coi fari spenti della ragione (quella autentica).







giovedì 23 febbraio 2012

Aspettando l'aurora (del pensiero)

Parmenide (immagine EMSF-RAI)


« … Orbene io ti dirò, e tu ascolta accuratamente il discorso, quali sono le vie di ricerca che sole sono da pensare: l'una che "è" e che non è possibile che non sia, e questo è il sentiero della Persuasione (infatti segue la Verità);
l'altra che "non è" e che è necessario che non sia, e io ti dico che questo è un sentiero del tutto inaccessibile: infatti non potresti avere cognizione di ciò che non è (poiché non è possibile), né potresti esprimerlo.
… Infatti lo stesso è pensare ed essere. »

Vagando di giorno i  giorno tra i libri, torno spesso all'aurora del pensiero. La dea Verità parla nell'attimo che segna l'essere indicando la via da seguire. 
Indica, suggerisce...rivela...ecco il punto. La verità che rivela levando sul profondo dell'assoluto, quell'insondabile che ancora oggi sconcerta e sconvolge.
Sconvolge perchè nulla viene imposto aprendo sulla vertigine della libertà nel silenzio che tritura ogni umana bassezza.
Attonito contemplo la lontananza vicina.

mercoledì 22 febbraio 2012

E' sera


Novara - Via san Gaudenzio (foto Massimo Caccia)

E’ sera, ormai, tenebra crespa e taciturna
sospesa tra rade luci grigie di stanchezza.
Novara si ferma in qualche passante ignaro:
sono veramente  rari i volti quanto troppe
le facce dure di pietra e così smunte di vita.
Sarà l’indifferenza, dico, magari l’estraneità
che avverto montare languida, una marea
oscura d’abbracci muliebri che asfissiano
ogni entusiasmo nel sopore del conformismo.

Aspetto. Scruto la prospettiva ricurva
di via san Gaudenzio riflettersi nel porfido
lucido di gelo.  Il freddo finalmente
di stagione accompagna quest’ultima decade
di febbraio, mentre s’ostina a pungere:
m’accorgo, contandoli, dei giorni trascorsi,
ecco perché ora, qualche essenziale pensiero
prima di tornare, si, senza rimpianto
nella sfericità infinita dell’eterno.

martedì 21 febbraio 2012

In aggiunta a Poesia e Vita

Sarà la preoccupazione di scrivere brutti versi,
lo scoglio all’immaginazione poetica, volubile
ingombro che trasale lo smacco di creare liriche
patite e zoppe dove si narrano battute d’anime
smarrite. Spesso arretra la metrica indagata
sugli usurati banchi di scuola e mai smaliziata
come palpito di vita affrancando turbamenti
che vociano i disaccordi dell’ansia. La retorica
eccede sporcando il fervore paziente sull’armonia.

Su poesia e vita (mai banalizzare)

Lanca del Ticino presso Cameri (No) foto massimo caccia


Qualcuno ha scritto, forse a ragione, che i versi veramente belli mai composti sono veramente pochi. Credo sia vero, data la mia eterna insoddisfazione e l'ossessione maniacale che metto nella lettura e nello studio degli altri poeti (s scrittori).
Imparare ad assaporare la musica degli altri autori è importante e vitale. Un lavoro improbo, certo (senza dimenticare che i migliori autori sono, spesso, ottimi critici), perché invita sempre a sentirsi inferiori e mai arrivati.
La poesia è una cosa seria. Una faccenda che inguaia fin nel profondo delle viscere. Sono cosciente del fatto che molti rifiuteranno in toto una simile interpretazione, ma la vita è composto terroso e viscerale (già l'aristotelico sinolo è un anelito alla nobilitazione dell'umana realtà). Un composto fatto con sangue e sputi (torniamo a rileggere gli antichi miti: Enuma elisch ed altri!).
La poesia deve essere acqua limpida da fonte torpida. Un lavoro costante e continuo di depurazione e sublimazione.

lunedì 20 febbraio 2012

...prima del gelo...

Rosa d’inverno, un volo nel silenzio
laddove l’essere non appassisce
travolto dal mutare.
                                  L’algoritmo
della vita indica la traccia oscura
del presagio: proteso nell’ascolto
attendo l’urlo del richiamo. 

sabato 18 febbraio 2012

Il dono di saper abbreviare

Umberto Saba, per me, rimane legato a pochi nitidi ricordi: alcuni scolastici, come le poesie studiate e messe a memoria, ed un romanzo letto ormai da studente universitario, il tanto controverso e delicato "Ernesto".
Oggi torno a quest'autore dopo anni di oblio, come capita per tanti, sopratutto quelli irrimediabilmente catturati dalle antologie ed ingessati dalla palinodia letteraria ufficiale, la stessa che tende ad erigere monumenti ed epitaffi (purtroppo), dopo aver rivisto, revisionato, cassato... Sic transit gloria mundi!
Umberto Saba (foto da Wikipedia)
La letteratura è ben altro, grazie al Cielo e grazie ai maestri, quelli che non si limitano a far da ripetitori asettici ed impersonali con informatica freddezza.
Tornando a Saba. Per caso ho acquistato "Scorciatoie e raccontini". Cosa dire a metà della lettura? Un grande poeta, mettendo da parte il personalismo riduttivo della chiacchiera, così come un eccellente prosatore, nonostante la brevità dei testi. Folgorante e lucido! Immediato ed elegante. Mai banale. Una  citazione sola come esempio.
"Non so più dire senza abbreviare; e non potevo abbreviare altrimenti."
Folgorante, appunto, quanto un aforisma di Nietzsche, da Saba letto ed amato e, perchè no, capito meglio di quanti vivono la presunzione di averlo studiato, magari nell'originale tedesco prima di distruggerlo e ricostruirlo. Ciance a parte.
Abbreviare. Il dono della sintesi. Quello che manca a troppi, spesso a chi insegna e, di conseguenza, a chi apprende senza comprendere perchè subissato sotto un ammasso di nozioni. La sintesi è tutto, ripeto.
Abbreviazione, semplicità. Perchè no? Sguardo analitico, quello che ti permette di cogliere la vita nell'attimo per scoprire tutto il bello dell'esistere anche laddove i più trovano solo ciarpame.

Una considerazione personale, prima di concludere e per riflettere.
Non si deve mai smettere di imparare dai maestri, sopratutto quando sanno raccontare (narrare) la meraviglia dell'esistere rinunciando agli ambagi di un'ampollosa retorica istituzionale.
Chi è un maestro, poi?
Una persona che, talvolta, senza nemmeno saperlo, lascia una traccia nella nostra vita. Basta poco, dunque?
Credo proprio di si! La consapevolezza degli incontri fondamentali è legata ad occasioni fugaci.
Forse questo libro non l'ho per niente acquistato per caso!

giovedì 16 febbraio 2012

Quaerendo invenietis

L'Offerta Musicale di Bach rimane una delle composizioni più affascinanti ed enigmatiche. Con pazienza, si entra in un mondo sonoro ricco di simboli, rimandi, evocazioni, labirinti numerici e non. Un rompicapo, per chi ama la cabala musicale intessuta dal grande compositore quando ormai la sera lo strava conducendo al tramonto del suo tempo.
Tra i canoni dell'opera ce ne è uno, a due voci, oscuro all'inverosimile eppure così limpido nella sua cristallina semplicità. Uno che richiama all'impossibile della ricerca. Da questo, sottotilolato da Bach stesso Quarendo invenietis (cercando troverai) sono partito, per dove, chissà? L'importante è aver ascoltato il lamento dell'abbandono.



Quaerendo invenietis

Sento di non farcela più in questa broda
primordiale di aule e corridoi, affanni, stantio
e sudore rancido d’adolescenza umorale e accesa:
ecco perché, forse, nella pausa che segna il tempo,
oggi solo poche parole e scritte a matita,
consegnate all’impermanenza del foglio di minuta
o immortale amata. Poi che dire per quest’insolito
se non farfugliate scuse, dato il crudo fatto
che anche tu ti perdi nel groviglio di note, quello stesso
subisso che assedia il mio rigo esistenziale.
Cosa mai potrò pensare di più grande? Magari
l’amore che ci soccorre, quello che le giornate
sporcano di tribolate incomprensioni:
così calano le voci nell’intonare il canto ultimo,
quello che ritma l’occasione nel vago attendere.


mercoledì 15 febbraio 2012

ho scritto poco...

Ho scritto veramente poco su questa finestra aperta...non so perché l'ho fatto, so che mi sono mancate le motivazioni.
Sono passate settimane dall'ultimo post, ne sono cosciente e qualcuno, con infinita dolcezza, mi ha pure invitato a scrivere di più!
Cosa posso dire...ci proverò!