mercoledì 30 maggio 2012

Una sola moltitudine


Fernando Pessoa (immagine da Wikipedia)

Fu Bernardo Soares, Alvaro de Campos, prima
fu mastro Caiero, dopo i due Reis e i Search
in ricerca di sé e chi sono. Ancora: Teira, Mora,
di nuovo Pessoa, colui della pioggia obliqua,
la chuva stilla del cuore, in seguito i molti sperduti
in quel di Lisbona: ricordo il mondo prono
sull’oceano furia antica col maschio Tago
che scuro penetra profondo il tepore del mare
fecondo di embrionale pneuma, brodo, passione.
Poeta trafitto, Fernando, il bicchiere gelato
tra le mani, un  mazzo di lettere giocate
su promessa scommessa d’amore nel turbine
sinuoso e femmina del Fado cantilenato su nenie.
Bramata sfortunata Ofelia, corteggiata tentazione
in lunghi tramonti di sangue, spremi inchiostro
per carte essiccate nel cimitero di bauli e schedari.
I molti s’annullano nei diversi e vociano
vita non morte agli io/legione garruli d’attesa,
muto demone per inquieto dolce stormire
della burrasca estrema che smorza nel fuoco.
Bussano. “Avanti!” sussurra il vegliardo sapiente.
“Entrate, qui attorno c’è dio per tutti!”



domenica 27 maggio 2012

La psicopesa


           Silvius Giarda da anni lavorava sul progetto relativo alla costruzione di una macchina in grado di pesare l’anima delle persone, anche se molti, convinti della sua follia, erano certi che non esistesse nulla di pesabile, negli esseri umani del loro tempo.
            - Sei un matto! -  Gli disse Marcus, l’amico di sempre, mentre sorbivano un aperitivo al Caffè degli Alchimisti (gli ultimi? Gli estinti?).
- Dunque hai studiato il mio progetto e letto la relazione?
- Fatto entrambe le cose, sì! Ma rimani un pazzo. La macchina per pesare l’anima, la pesatrice psichica.
- Psicopesa! E non si tratta affatto di uno scherzo.
- Già, come quello di parlare di anima oggi! Ma fammi il piacere. E quale utilità ne potrebbe trarre l’umanità?
- Indispensabile! Chiunque potrà verificare, in ogni momento, il suo livello di evoluzione interiore.
- Ancora pensi a questo antiquariato?
- Quanto sei gretto ed ignorante!
- Ti farai ridere dietro!
- Se e per questo…
- Questo cosa? Un insigne cattedratico della tua fama che si perde appresso una quisquilia da sacrestia. Roba da preti.
- Da confessionale.
- Cosa? Ecco che ci risiamo!
- Sei un volgarissimo miscredente!
- Sono un uomo di scienza, io e…
- E ti perdi dietro ricerche alchemiche e roba varia…
- Sono occupazioni serie, le mie! Se ti riferisci alla panzana della pietra filosofale, io non inseguo il vile metallo, ma…
- L’elisir di lunga vita!
- E con questo?
- Con questo ti chiedo cosa possa servire vivere a lungo senza prefiggersi lo scopo di far crescere in noi qualcosa.
- Ah, bella! Rimani sempre abbarbicato alla tua mania. Mi voglio mantenere giovane per poter correre dietro alle donne, se non ti dispiace.
- Ma se l’unica che hai avuto ti ha lasciato gridando ai quattro venti  che Marcus Hauser è un uomo senz’anima!
            Marcus tacque improvvisamente. Un uomo senz’anima: un animale? Niente affatto, poiché secondo Aristotele…Al diavolo! “Quanti tiramenti!” pensò tra se Marcus. “Io un uomo di profonda spiritualità! Altro che anima…poi, come disse quel tale…Ma chi era quel tale? Un certo Mullah…Boh! Sosteneva: Beato colui che ha un'anima. Beato chi non l'ha. Ma sventura e dolore per chi ne ha solo l'embrione.” E lui dunque? Lui, il grande Marcus Hauser, l’eroe delle ricerche cibernetiche, l’antesignano delle bioingegnerie, il brillante accademico che aveva dimostrato la passata esistenza di Atlantide?
            - Non hai più niente da dire? – Domandò Silvius stupito da quell’improvviso vuoto verbale. – Vuoi un altro spritz? – Aggiunse agitando il bicchiere vuoto davanti agli occhi attoniti dell’amico.
- Cosa? – Cachinnò Marcus.
- Sembri non stare bene! Non è da te dire niente.
- Quando ti metterai al lavoro?

sabato 26 maggio 2012

Il male immaginare (quando non è fantasia)


Ruggito roco d’immaginazione
tradita sorte di dadi gettati
sul calpestio polveroso e sozzo,
per omissione d’infamia mi spezzo
le unghie per strapparmi via dal ventre
squame d’insensibile vivere sommerso.
Oltre il giusto del cerchio si ritrova
il quesito che interroga il tranquillo
decedere del tempo.
                                  Rosso sangue
sono sempre i tramonti per chi giura
guerra al destino: basta una rapina
ai danni degl’idoli incrudeliti
dal furto antico del fuoco, coscienti
che l’industria consuma spazio sacro
all’esercizio della vita semplice.


giovedì 24 maggio 2012

Essere come appesi


Essere come appesi all’impossibile
già il titano con urli s’alza tetro
come JHWH che cavalca le nubi
e con mano possente sbaraglia
dei filistei le torme innumerevoli.
La poesia cos’è?
                            Il boato sordo
del silenzio che si distende piatto
e ronza tutte le parole dette
sotto truffate stelle: quale segreto
ancora velano ai poeti d’oggi?
Nero d’asfalto, lamiere e carcasse
e questa terra desolata e stanca.

lunedì 21 maggio 2012

Segnalazione link

Non voglio battere troppo i tamburi, ma con soddisfazione sul blog Moltinpoesia sono state pubblicate due mie composizioni poetiche.
A chi interessasse, questo il link Massimo Caccia Due poesie

domenica 20 maggio 2012

Cosa dobbiamo (possiamo) fare?

Un forte senso di rabbia, per quello che accade. Per l'innocenza tradita da mondi ostili e che altro non fanno che distruggere la bontà profonda della vita, quella bontà che si cerca di narrare malgrado le macerie fumanti, ma che troppi rifiutano perché una bontà scomoda.

Mi ritorna una domanda di Tolstoj: cosa dobbiamo (possiamo) fare?


La voglia, oggi, è di prendere, fare le valige ed andarsene. Questa nazione puzza di morte e di complotto anche se, come ho scritto sopra, molti (troppi) rifiutano questa verità per pensare alle spiagge, al sole, al caldo del mare, alle vacanze...

Purtroppo accadde così anche per gli ebrei d'Europa, quando il mostro nazifascista stava fagocitando le coscienze: troppi attaccamenti, troppe case, il benessere, i lavori e le posizioni, i soldi (nonostante le crisi).

Quali spettri stanno minacciando ora la nostra vita?

Non siamo più liberi nemmeno di affidare i figli alle scuole...

Cosa dobbiamo (possiamo) fare?

Insegnare che la vita è un bene troppo prezioso per essere abbandonato all'inconsapevolezza, che il mondo attorno non è uno scenario fiabesco dove i problemi riguardano sempre e solo gli altri...che occorre rimboccarsi le maniche e costruire una dimensione di rapporti umani possibili.

mercoledì 16 maggio 2012

Due poesie

Una valanga di versi. Un autentico tracimare, quello che mi succede. Dopo giorni, come un fiume in secca, oggi un torrente gonfio di primavera.
Per ora non mi preoccupo della "bellezza" di quanto scrivo e se quanto il "bene" ed il "vero" sussistano in armonia. Quello che mi preme fare è scrivere. L'azione rinvia oltre, trascende ogni costrizione categoriale per attingere direttamente al mistero della vita.


Vento, vento che urla monti vitrei
lontano da questo mattino freddo
che ancora giace molle intorpidito
da un sonno non giusto.
                                        Nella serata
mi sono attardato a giocare troppo
danzando con le falene impossibili
coreografie letali d’amore.
Intreccia, monna Vanna, le tue piccole
mani alle mie affinché rinserrandoci
nel caldo dell’amplesso questo vento
sferza furiosa non scombini il gioco
del vagheggiare senza mai trovarsi.


                         *

Una chiocciola appesa al muro striscia
bave interrotte nel groviglio fitto
della clematide in fiore. Adesso,
dopo la collera d’un terremoto
domestico, catturo la struttura
dell’azzurro che stempera il crepuscolo.
Con negligenza studio le funeste
equazioni che sguardano sul bene
delle cose che troppo poco contano
nei commerci brutali e nello scippo
sulla trama d’esistere. Tu sai
quanta fatica cerco di prestare
con l’impegno indefesso e incaponito
nel tentativo onesto di non perdere
le staffe del decoro. Almeno un tempo,
nel remoto Olocene muovevamo
passi con estrema circospezione.
Se pure i ragni cantano le note
della rugiada e vibrano al singulto
della mosca predata e persa anch’io,
che per umana viltà ho interrotto
il contrappunto dell’ombra fugata,
posso sperare nel baleno amico.


martedì 15 maggio 2012

Fu sera e fu mattina...


Fu sera e fu mattina si può leggere
nel mito antico e nel tempo scandito
l'oceano che inghiotte e slava vite
d'ignaro palpito...poi ancora batto
il barbarico ritmo del richiamo
nel solco d'un giorno qualunque speso
in faccende di poco spessore e conto.
Che ci faccio adesso, qui, spalmato
nell'attesa che transiti il banale
che sfoghi il temporale nell'elettrico
tripudio quando il forte degl'abbracci
smorza l'ansia dell'essere all'altezza?
Questo cielo di lana delle Erinni
smunto di lacrime scritto d'inchiostro
m'invita all'adunanza dell'occaso.
Basta, m'impongo! Sono ancora poche
le rondini che venerano guglie
e campanili: devo far memoria
di come sanno trovare l'indizio
per non smarrire la strada di casa.

lunedì 14 maggio 2012

Fratelli coltelli

Fratelli Coltelli qualche anno fa (estate 2008)

Capitano giorni quando i buoni propositi lastricano la strada della dispersione totale.
Torni da scuola, dove hai già dato e non solo in senso strettamente professionale. Pranzi con la consorte in pace, finalmente. Qualche chiacchiera tanto per alleggerire il peso delle ore date per la pagnotta. Ti prepari alla lettura, allo studio, magari allo scrivere e zac che scatta la disputa. Tutto nasce a causa di un cinque in scienze racimolato da mia figlia. Lei protesta, l'altro, mio figlio, interviene. Sfottò a tutto spiano. Grida da scimmia urlatrice, lei. Poi le mani. Strattoni. All'estremo l'intervento di noi genitori. Altre grida fino alla bordata di castighi e finale spossatezza. Cuore in gola. Amarezza a calici da ingurgitare fino alla feccia. Io e mia moglie distrutti. Un copione? Non so! Talvolta sono convinto che tutto accada sempre e solo in casa mia. Chissà perché?
Poi ho buttato giù qualche verso...e pensare che avrei da scrivere migliaia di pagine, piuttosto che condensare le emozioni in pochi versi.
Poesia e vita, fede che salva. Guai se non mi aggrappassi al canto, quando rischio di non farcela più.


Scivola il tempo di questo giorno bislacco.
Lo solite liti dei fratelli coltelli, estreme,
hanno lacerato la quiete del pomeriggio
tutt’altro che pallido ed assorto: un nero
iroso masso che divora vita e quant’altro
trascinando quel senso d’umana impotenza,
arcana inadeguatezza, solenne incapacità
e poi ancora fino a che frantumi domestiche
terraglie imponendo fine all’invereconda
disputa. Li chiamo figli? Despoti, dovrei
dire, immeritati aguzzini, quando già pesano
le complicanze dell’orbe intero. Frutti
dei miei lombi? D’accordo su tale natura,
ma cosa recita il Siracide? Usare la sferza
perché, dopo, ti saranno immensamente grati?

venerdì 11 maggio 2012

Di poesia si muore (ancora)

Zarmina's grave (fonte The New York Times)

In Afghanisthan, una donna di nome Zarmina viene uccisa dai famigliari perché scoperta a scrivere poesie. Che razza di mondo e che fastidio di religioni, dove la morte è inflitta per legge a chi, invece, vive la fede nella Vita.
Per chi volesse approfondire, rimando ad un post pubblicato oggi sul blog Poesia di Luigia Sorrentino.
Da parte mia, riflettendo, lascio quest'intreccio di versi, ricordando, assieme a Zarmina, tutti i poeti uccisi.


Uccidere un poeta, perché? Forse
perché dice il mistero della notte,
il segreto taciuto della sera,
la bianca luce dell’aurora.

Per alcuni sarebbe nulla, questo,
per i soliti stolti – a voler dire
poco – l’immane bestemmia rivolta
a un idolo muto di morte.

Così passano e vanno i giorni tristi
di vite clandestine per se stesse,
mormorate negli attimi rubati
all’ingiustizia del dolore.

Zarmina, donna  d’un crudele oriente,
laddove ancora s’uccide il diverso,
colei che vive per l’stante magico
dandosi al pudore del canto.

Non è più tempo di favole, ora,
ma le stelle trapuntano il tuo nome
e brillano di quell’amore a te
negato dai legami di sangue.

Io posso solo sussurrare il tuo
ricordo, sognare un mondo migliore
e beatamente illudermi che l’uomo
possa esser meno animale.

domenica 6 maggio 2012

Ode di maggio



Quanta stranezza in questa primavera
che ancora gusta d’inverno in quei volti
cupi di morte inflitta per condanna
d’un sistema corrotto. Tempus fugit,
suono su temi bruni d’abbandono
nel controcanto della sera molle
mentre discendo gironi gremiti
da disperati ignari del naufragio.

Sono andato nel bosco, ieri, senza
troppo pretendere al solo vivere
e cosa rubo alla saggezza d’essere
quando del poco midollo lasciato
non riesco suggere neanche il sentore?
Sono rimasto sul ciglio del tartaro,
fermo a guardare, tralcio nel tormento,
coloro affranti d’emaciata attesa.

E’ che io non son fatto per la guerra
richiamato dai molti immiseriti
che già contestano per la dignità
persa a modico prezzo nel baratto
d’idee ormai fiaccate dal conflitto.
Alle vedove non son più conformi
quei peana intessuti da tiranni
loschi, gonfi di boria e indifferenza.

Provo a scrivere qualche rima sparsa
sgrattando cancrizzati sentimenti
per meglio mordere umori glassati,
anche se queste timide parole,
ancora prima di staccarsi libere
dalla penna, già sanno di poetico
aborto: quando torneranno i giorni
buoni per trafficare umane lettere?




venerdì 4 maggio 2012

Così pensando


Tanto per cambiare corso alla noia, mi soffermo sul garbuglio poetico che rimugino a mente da qualche giorno. Sono immagini di varia natura, grappoli d’emozioni glassate dall’attesa e dal tempo. Memorie del vissuto, spesso umano ciarpame che poco conta al vaglio della storia che scorre. Eppure, per me, posseggono un peso esistenziale irrinunciabile.
Mi metto davanti al quaderno per gli appunti, quello che mi porto sempre appresso. Penna e pazienza, prima che qualche verso cominci a sciogliersi.

Il mondo, fuori, è grigio di follia. Cortei di ceree vedove. Uomini che s’incatenano e vengono prelevati ammanettati come comuni delinquenti (ne esistono ancora?). Sofferenza spettacolarizzata da una televisione ormai esanime: che si sia giunti alla fine di questo mezzo ormai consunto dall’orgia del potere? Davvero cattiva maestra?

Sono diviso tra il richiamo delle selve poetiche, sostenuto dalla speranza che tornino presto i giorni buoni per le  humanae litterae, dell’otium contrapposto al nec-otium e l’impegno del canto urlato per liberare quella ribellione che graffia dentro.

Comodo così ragionare mentre fuori qualcuno muore di disperazione.

mercoledì 2 maggio 2012

Lathe biosas

immagine dal web

Andai nei boschi
perché volevo vivere
con saggezza e profondità
e succhiare tutto il midollo della vita,
sbaragliare tutto ciò che non era vita !
E non scoprire,
in punto di morte,
che non ero vissuto.

Henry David Thoreau

Oggi una celeberrima citazione. Non a caso, scelgo di lasciarmi condurre dai versi di altri.

Bosco. Solitudine. Saggezza. Profondità. Quiete assoluta. Sono quegli ingredienti che permettono l'andare a fondo delle questioni.
E se la questione fosse una sola? La vita?

Sono giorni, questi, dove l'invito alla vita ritirata si fa molto forte. Un bisogno che comincia a sapere di necessità.
La chiarezza sulle questioni fondamentali, la si ottiene ritirandosi nella pace della contemplazione, laddove la dimensione umana ci suggerisce che per e-sistere basta veramente poco.

L'impegno può germinare solo da questo. Il resto? Si riassume mille e una identificazioni che annullano la libertà.