venerdì 3 maggio 2013

Il bandolo della matassa


Entra un tizio veloce e in retromarcia e mi sbatte contro uno dei pilastri del cancello.
La botta è forte e in una frazione di secondo, come si dice, ti ritrovi bello che stordito e ci vuole un attimo prima che t’accorgi che quello che ti ha pesantemente speronato è un camion frigo dell’Eismann.
Cosa strana: non mi incazzo. Scendo e guardo il retro sfondato della mia Mercedes, il fanale in frantumi e la portiera di destra con dentro lo spigolo del pilastro grattugiato dall’impatto.
Il tizio scende. Mi viene vicino e dice con candore:
- Non mi sono accorto che lei stesse uscendo dal suo cancello.
Chissà perché non lo rimprovero duramente. Ne sarei pienamente in diritto. Sono come disincarnato dalla situazione che sto vivendo. Stento ancora a capacitarmi mentre penso alla lezione che avrei dovuto tenere quel pomeriggio in facoltà e che sfuma via come un miraggio malgrado le mie buone aspettative.
Ci vuole un attimo prima che riesca a rinvenire il bandolo della matassa che s’è srotolata attorno alle due e trenta di un qualsiasi e insulso giovedì. Cosa ho scritto? Una giornata può essere insulsa? Credo proprio di sì, perché al mattino anziché poter fare scuola mi sono dovuto sorbire l’incontro con la Croce Rossa, utile certo, ma una terribile perdita di tempo quando l’anno scolastico si trova ormai agli sgoccioli e già cominci ad assaporare la voglia di liberarti da orari e impegni funzionali all’insegnamento. Il risultato è un leggero mal di testa perché non sopporto il sole e il pizzicore dei pollini comincia a farsi sentire.
Un momento! Sono ancora con il tizio dell’Eismann. Ci sediamo sotto al gazebo che ho montato proprio ieri, primo maggio. Costatazione amichevole. Dati. Assicurazioni, patenti. Lui che mi racconta degli altri incidenti che gli sono successi sempre entrando in retromarcia in vicoli privati e chiusi come il mio. Una storia di tutti i giorni. Capita, tra un pacco di patatine fritte e una confezione di gelati al cioccolato. Certo è che se mi avesse preso un metro solo più avanti, sarei finito all’ospedale e non so in quali condizioni. Tutto perché non mi ha visto e manovrando all’indietro guardava solo nello specchietto alla sua sinistra. Cose del genere, capitano troppo spesso!
Poi arriva il carrozziere, accerta il danno e non crede al tizio dell’Eismann quando gli racconta che stava entrando adagio. Intanto l’auto non riparte. Queste meraviglie della tecnologia tedesca con chissà quante centraline e computer di bordo, quando s’inchiodano non si riaccendono nemmeno se le attacchi ad un traino di muli.
Da parte mia me ne rimango li a guardarli mentre tentano il possibile per riavviare il motore e ritirare il povero mezzo incidentato nel cortile di casa. Mi sento strano. Leggero. Non posso dire assente, ma invischiato in una dimensione ovattata dove sembra impossibile scadere nell’ira funesta del pelide Achille. A cosa servirebbe poi, dato che il tizio, che scopro chiamarsi Stefano come mio fratello, s’è dimostrato disponibile nell’ammettere la sua colpa e detestarla?
Intanto la mia auto ridotta a mal partito non riparte. Tutto gira, tutto s’accende, navigatore pure, ma il motore non accenna a nulla, solo un sussultare desolato del motorino di avviamento.
Comincio a sentire la sconsolazione montare, mentre tutti parlano e si perdono in mille considerazioni. Prima il carrozziere chiama la concessionaria Mercedes di Novara dove gli dicono che solo loro sono in grado di eseguire diagnostiche del sistema accurate. Per evitare costi simili a fucilate, ricorriamo al mio elettrauto di fiducia. Lui, dopo essere arrivato, con qualche abile manovra, capisce tutto. L’intoppo è dovuto al fusibile della pompa del gasolio che s’è bruciato a causa dell’impatto. Una volta sostituito, il motore riparte. Unico particolare: un iniettore che sfiata.
Tutto sembra finito. L’auto è accesa. Devo solo portarla dal carrozziere al resto penseranno le assicurazioni. Il tizio dell’Eismann, Stefano, è da un ora fermo col suo camion in mezzo al mio vicolo. Mi segue mentre controllo le fotocellule del portone.
- Mi dispiace di averle rovinato la giornata! – Dice mentre risistemo la mascherina ad uno dei sensori. Mi alzo e lo guardo. Poi dico:
- Mi ha rovinato la macchina, non la giornata.
- Mi dispiace, - aggiunge prima di ripartire per il suo consueto giro di vendite alle  sue clienti tra le quali c’è mia suocera.

Uno scorno. Un terribile scorno, per fare il verso alla poesia. Ci vuole un’ora prima che riesca a realizzare l’entità del pericolo che ho corso. Questo avviene quando recupero il bandolo della matassa dell’esistenza.
Sono andato a riprendere mia moglie a scuola usando l’auto di mio suocero. Lei intuisce subito qualcosa quando mi vede salutarla dal finestrino della Ipsilon grigia del padre.
Mentre le racconto l’accaduto, sento la precarietà dell’esserci salire dal profondo. Un metro e mi avrebbe colpito con lo spigolo posteriore del cassone frigo conciandomi per le feste. Questo è il significato della stranezza che mi ha assalito fino dai secondi dopo l’impatto. Così sarebbe finito il piccolo padreterno che troppe volte mi racconto di essere.
Non riesco a capire il perché, ma necessita tutta la sera affinché riesca a recuperare qualcosa, tenendo in mano il ritrovato bandolo della matassa. Riavvolgo la mia vita, lentamente, fino a quando è possibile, prima di addormentarmi chiedendomi quale senso possano assumere gli avvenimenti che ci accompagnano nell’economia della quotidianità.
Prima di cedere al sono, dalla televisione vengo a sapere che oggi è morto Max Catalano, il filosofo dell’ovvio amico di Renzo Arbore, quello che diceva che si vive meglio con due pensioni piuttosto che con una. Come avrebbe filosofato al mio posto?
Meglio avere la macchina da carrozziere che essere all’ospedale con la spalla fracassata e il viso coperto di tagli, e qualche lesione interna guaribile in una manciata di giorni.
E’ questo il bandolo della matassa?



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