Beati
voi poveri…Che cosa conosco della povertà?
Quello
che mi è stato detto oppure insegnato a proposito. Quello che sono riuscito a
vedere con i miei occhi, ma sempre fuori, troppo lontano per farne esperienza
e. chissà per quale arcano, rarissime volte, se non mai, dentro di me e nelle
scelte di vita che ho fatto, nei gesti che ho compiuto. Questo è il nodo da
sciogliere.
Se
non trovo la forza di cominciare la mia conversione da qui, dalla prima
Beatitudine, non posso comprendere e vivere questa straordinaria condizione di
vita.
Cosa
potrebbe succederebbe se provassi a dire ad un povero affamato e senza tetto
che è beato di fronte a Dio? Come reagirebbe a questa mia vuota affermazione?
L’errore
commesso, grave e fuorviante, è che abbiamo spostato da noi, da me, la
questione della povertà, sul prossimo in nome di una carità che altro non
produce se non un intontimento della coscienza, un sentirsi a posto con sé
stessi. Il problema è farsi poveri. Scegliere questa condizione così come il
Vangelo me la pone sotto gli occhi, raccontandomela. Solo chi si fa povero
attua il Regno di Dio, lo rende visibile e può cogliere e sfamare chi ha dei
bisogni. Per capire occorre rileggere il libro degli Atti per verificare quello
che viene detto a proposito delle prime comunità cristiane, il modello al quale
guardare: in quelle comunità non c’erano bisognosi perché il comandamento era
la condivisione. Se condivido, non mi viene tolto nulla di cui ho bisogno anzi,
mi viene dato, ma così operando, non mancherà nulla a nessuno dei fratelli e
sorelle accolti nella loro indigenza. Quando lasceremo questo mondo porteremo
via con noi solo quello che avremo dato.
Certo,
la sfida è togliere i poveri dalla povertà. Questo vuol dire lottare per una
società dove al primo posto viene messo in programma il benessere materiale e
spirituale del prossimo.
Questa
è la chiave di volta per entrare nella dimensione del Regno e fare delle Beatitudini
il fondamento della mia/nostra vita di credenti e di ricercatori della fede.
Dovrebbe
essere chiaro che chi ragiona, vive, prega, celebra e testimonia secondo questo
stile rischia la discriminazione, insomma il rifiuto, e da qui le lacrime, quando
non la persecuzione che ai nostri tempi si attua subdolamente in maniera educata,
civile, composta, ma sempre letale. In questi giorni di barbarie questo non
accade purtroppo solo fuori, ma anche dentro la Chiesa stessa quando ricadiamo
nell’ideologia e ci rinserriamo dietro la falsa sicurezza di -ismi di ogni
genere.
‘Quando
io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché
i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista’. (Elder Pessoa
Càmara)
Il
mondo deve cambiare, per sopravvivere a questa crisi planetari. È il Signore
che lo chiede. Mi domanda di allinearmi e concentrarmi sull’essere, di portarmi
a compimento senza cedere alla mentalità dominante. Di non illudermi che l’avere,
il potere e il successo mi realizzino come essere umano. Scoprire l’humanum
è fare della mia vita una questione di qualità e non di quantità. Questa
ricerca di consapevolezza cristiana passa nel profondo della Parola che
trasforma per la salvezza opponendomi alla mondanità (Papa Francesco).
Cosa
dicono i benpensanti di tutto questo? I ricchi, i potenti, quelli che fanno del
profitto lo scopo di un sistema economico iniquo o del conformismo cattolico un
comodo paravento?
‘Nessun
regime dovrebbe temere l’opposizione cristiana la quale è l’unico modo di
collaborare per un cristiano, che non può né confondersi né approvare
incondizionatamente. Il cristiano costruisce e demolisce allo stesso tempo’
(Primo Mazzolari)
Dopo
tutte queste parole risuona l’oi, il lamento funebre che Gesù intona per
chi rimane al di fuori delle Beatitudini e vuole rimanerne. È il guai,
che non significa vendetta, ma la conseguenza del vivere sordi al richiamo
della Vita e della propria cristificazione.